Cominciamo dalle buone notizie, perché dopotutto bisogna pur trovare qualcosa a cui aggrapparsi in epoca di vacche magre. E così ecco Francesco Peghin, l’uomo nuovo di questo nuovo corso biancoscudato, un imprenditore padovano che con lo sport ha avuto sempre un rapporto eccellente, che ci ha sempre messo la faccia, che ha deciso di fare qualcosa per la squadra della sua città. Ha messo un milione sull’unghia, si è impegnato in prima persona, è qui per portare altre forze fresche e/o per far tornare voglia a Joseph Oughourlian la voglia di investire. Si è sempre detto che l’imprenditoria padovana è sorda al richiamo calcistico e i fatti hanno dimostrato che non è così. Fa quel che può, ma quantomeno ci prova, prima con Bonetto e con il povero e compianto Bergamin, adesso con Peghin, che ci sta mettendo passione e impegno, ha portato un ricambio d’aria e sta dando un contributo importante. Sarà sufficiente per scacciare l’alone di pessimismo che circonda da tempo l’ambiente Calcio Padova?
In questo preciso momento cominciano i dubbi, perché le buone notizie si fermano qui. Il resto della storia racconta di un patron che si è prima disamorato del Padova dopo la finale persa di Palermo, che subito dopo voleva liberarsene, che poi ha cercato di venderlo ripetutamente, che ha trattato con più soggetti e, infine, che ha praticamente più che dimezzato il budget in due anni. Cos’altro può trasmettere se non disinteresse puro il fatto di passare da 8,5 a 4 milioni l’impegno economico, il fatto di essersi visto in città una sola volta da Palermo in poi per sei ore, il fatto di non essersi strutturato in alcun modo sul territorio? Non raccontiamoci storielle. Se un proprietario che ha una squadra in Champions League e un’altra ai vertici del campionato colombiano non investe nemmeno in parte i proventi della cessione del suo gioiello di famiglia Aljosa Vasic significa che salire di categoria, per lo meno oggi, non gli interessa. Basta fare un po’ di conti: 4 milioni di budget per la prima squadra, 1 milione da Peghin, 2,2 milioni da Vasic più vari bonus che arriveranno. L’impegno rispetto al primo triennio è crollato: c’è, si vede appena, è minimo, è una luce fioca, non certo un impegno di chi vuole salire di categoria, o di chi tiene al giocattolo che si è comprato. Certo, si dirà: ma a parole la società è ambiziosa, parla di Serie B, di consolidarsi e altre verità simili, Torrente dice che vuole vincere, Mirabelli si destreggia fra parole e buoni propositi ma il problema di Padova, oggi, lo diciamo a malincuore, è proprio Oughourlian. Un Oughourlian irriconoscibile rispetto all’imprenditore che si era presentato in città con l’intenzione di portare il club in Serie A, che lo dimostrava con i fatti, non solo con i soldi e con la presenza che c’era. Non certo costante e continua, ma le sue uscite padovane dimostravano in tutto e per tutto la volontà di uscire dalle sabbie mobili della C e di puntare in alto.
Dov’è finito, quell’imprenditore che prometteva, magari non a parole ma con i fatti e le sue azioni, scintille, lampi e fuochi? Il tifoso padovano oggi è disorientato, non sa con chi prendersela, o meglio lo sa ma non ne ha la forza. Vede e legge di un patron che ha portato il Lens in Champions League e il Millonarios (nomen, omen) allo scudetto, mentre il Padova è il brutto anatroccolo relegato in terza serie a vivacchiare. Gli hanno promesso la curva nuova e tutto si è arenato chissà fino a quando, in mezzo a un mare di burocrazia e di errori giusto per essere teneri. Gli avevano promesso la Serie B in tre anni e ha perso due finali, oltre a due campionati nella regular season, uno dei quali per la differenza reti negli scontri diretti. Roba da buttarsi giù dal quinto piano, come ha scritto giustamente un mio collega qualche tempo fa. Gli avevano detto che il Padova sarebbe stata una società modello e invece è passato un direttore che (almeno qui) ha devastato i conti del club, per non parlare di chi glielo ha permesso. Conseguenze che si pagano ancora oggi, dopo aver potato i tanti rami secchi rimasti attaccati al tronco. Poi, sempre al tifoso biancoscudato, hanno detto che avrebbe dovuto sopportare un anno di transizione, però di non disperare che magari al patron tornava voglia di investire. Poi, qualche mese dopo, hanno aggiunto (parole del patron) che l’anno successivo si sarebbero spesi per la prima squadra 4-5 milioni di euro e che si sarebbe guardato al modello Südtirol (sic!), il tutto mentre contemporaneamente si cercava di vendere la società, salvo poi cambiare idea all’ultima curva. Poi, alla resa dei conti, si è scoperto che quei “4-5 milioni” ipotizzati, sono diventati 4. L’ho già scritto una volta, lo ribadisco: 4 milioni non sono 5, con un milione in più porti a casa cinque giocatori di livello o, in alternativa, tre top di categoria. Tradotto: fa tutta la differenza del mondo. Domanda: esisterà pure una via di mezzo fra 8,5 milioni e 4? Altra domanda: si può davvero vincere in questo quadro? Il calcio non è una scienza esatta, non sempre la spunta il migliore e spendere non equivale sempre a una garanzia di vittoria. Di sicuro, però, guardando a quanto accaduto negli ultimi anni, ha vinto quasi sempre chi ha speso, con qualche rara eccezione (il Lecco, per esempio, ma è appunto un’eccezione).
Oggi che sulla carta ci sono due squadre superiori (Vicenza, soprattutto, e Triestina hanno speso e investito molto di più), il tifoso padovano che nonostante tutto e nonostante quanto appena spiegato si abbona ancora, deve sperare che i valori sulla carta non vengano confermati sul campo. Deve sperare che Liguori impari a fare la seconda punta invece che l’esterno, che Bianchi e Palombi si lascino alle spalle due brutte stagioni, che Varas, Capelli, Villa e Fusi facciano bene anche nella grande piazza e non solo in provincia, che Russini si adatti in un ruolo non suo, che Dezi si ricordi che da lui ci si aspetta ben altro. Si può vincere? Per carità, non è impossibile, ma se Torrente davvero ci riuscisse firmerebbe un capolavoro assoluto, di quelli da spellarsi le mani. Al tifoso, oggi, non resta che augurarsi questo, che tutto s’incastri alla perfezione, che tutte le scommesse o buona parte di esse vengano vinte e che davanti deraglino in due nonostante due rose (sulla carta, lo sottolineiamo) più forti. Per quanto ci riguarda, meglio non vendere fumo e raccontare una scomoda verità piuttosto che far finta che vada tutto bene. Perché i fatti, almeno nelle mosse di quel patron su cui si riponevano tante speranze, raccontano l’esatto contrario di quell’ambizione “Serie B” sussurrata più per il blasone di un club che da trent’anni ormai mangia la polvere, che per quello che è accaduto davvero ai piani alti del club da Palermo in poi.