Il 15 luglio 2014, data in cui alle 19 fu chiaro a tutti che il Calcio Padova si era dissolto in mille pezzi, arrivò una telefonata. Erano circa le 20 e qualcuno disse, senza troppi preamboli e troppi giri di parole: “La società rinasce e chi la farà rinascere sarà Giuseppe Bergamin”. In quel giorno così buio e nefasto, quella telefonata cambiò tutto. E fece germogliare qualcosa di nuovo, mai visto a queste latitudini prima di allora. Di lui sapevo poco, a quel tempo. Avevo avuto alcuni contatti nelle settimane precedenti, perché qualche trattativa per salvare il club c’era stata e lui era stato il più convinto a compiere quel tentativo. Poi, quando si era reso conto in quale stato di disfacimento fossero i conti del Calcio Padova, si era arreso all’evidenza, promettendo allo stesso tempo che, se la società fosse scomparsa dal calcio professionistico, lui l’avrebbe fatta ripartire. I ricordi sono tanti, in questi giorni tristi che seguono la sua scomparsa prematura, che lascia un grande vuoto in tutti i tifosi biancoscudati, ma anche in tutto il mondo dello sport cittadino. Non a caso messaggi di cordoglio sono giunti un po’ da ogni parte, anche da altre città. Perché quella figura di presidente, così sobria, così aggregante, così distante dagli eccessi a cui per anni ci si era abituati, era qualcosa di bello, puro, nuovo. Dietro alla mossa di far rinascere il Padova c’era la passione, c’era il tifo (quello vero), c’era la voglia di fare qualcosa per la squadra della sua città. Giuseppe Bergamin era semplicemente “il presidente”. Voleva che gli si desse del tu e che lo si chiamasse “Bepi”, ma in quest’ultimo caso non ci sono mai riuscito. E l’ho sempre chiamato presidente, perché non facendolo mi sembrava di mancargli di rispetto, perché quello che stava facendo tutto era fuorché scontato, perché 104 anni di storia si erano appena liquefatti e lui era lì, pronto a far rinascere tutto dalle ceneri a tempo di record. Sono sempre stato convinto che assieme a Roberto Bonetto riuscissero a convivere due anime diverse che avevano lo stesso obiettivo e che sono riuscite a lasciare una traccia profonda nella storia ultracentenaria del Calcio Padova. E’ grazie a loro se oggi in città e in provincia c’è una squadra da tifare, ci sono bandiere da sventolare, colori da far rinascere, una passione in cui credere e questo acquista ancora più valore pensando che non c’erano altri disposti a rischiare in prima persona rispetto a quanto ha fatto Bergamin. Era un uomo franco e semplice, aveva sempre la battuta pronta, talvolta spiazzante, talvolta ti arrovellavi a capire quello che aveva in mente perché non svelava sempre quello che pensava. Eppure era una persona che incuteva un grande e profondo rispetto per quella voglia di aggregare che, instancabile, ne animava ogni intenzione. La notizia della sua scomparsa ha lasciato una grande scia di dolore per tutto quello che Bergamin ha rappresentato negli ultimi anni per lo sport della città di Padova. Ogni suo gesto aveva un significato, anche quando si era fatto da parte lasciando la presidenza a Roberto Bonetto lo aveva fatto perché aveva capito che “era la cosa migliore per il Calcio Padova”. Chissà quanto dev’essergli costata quella decisione, così sofferta, così diretta, così onesta, così leale. Perché questo era Giuseppe Bergamin. Era semplicemente “il presidente” e la traccia che ha lasciato in questa città nessuno potrà mai cancellarla. Come i “grazie” che, a centinaia, sono piovuti da ogni parte da una tifoseria che non lo dimenticherà mai.