In questo momento di incertezza globale il calcio non occupa sicuramente il gradino più alto nella scala delle priorità ma rimane comunque un modo per occupare la mente e distoglierla dai pensieri negativi dovuti al Coronavirus e le conseguenze che porterà sull’economia e sul mercato del lavoro. Proprio in questi giorni la task force di esperti nominata dal Governo sta studiando come strutturare la cosiddetta “fase 2”, ovvero quella che porterà gli italiani a convivere con il maledetto virus. Proprio in questa fase dovrebbero ricominciare anche gli allenamenti degli atleti in preparazione alle competizioni. Sì, ma quando potranno cominciare le partite?
Il dirigente dell’Iss Giovanni Rezza ha affermato “Sarei contrario alla ripresa del campionato” e successivamente il sottosegretario alla sanità Sandra Zampa ha rincarato la dose sostenendo che “Vedo molto difficile la riapertura per il calcio e non considero questo dibattito come prioritario”. Insomma gli esperti sembrano concordi e difficilmente il Comitato tecnico scientifico darà al Governo un parere diverso rispetto alla possibile ripresa del campionato. Ciò che comunque pare scontato è che nel caso in cui si riprenda, sarà obbligatorio giocare a porte chiuse. Infatti proprio il sottosegretario Zampa ha ribadito “gli stadi pieni li vedremo solo quando saremo in piena sicurezza e cioè quando ci sarà un vaccino”. A questo punto però sarebbe necessaria una profonda “analisi costi benefici” relativa ai pro e contro di una possibile ripresa della stagione e uno di questi punti riguarda proprio il fatto di dover giocare a porte chiuse, rendendo di fatto i giocatori dei protagonisti di uno spettacolo senza pubblico, e per fare un paragone sarebbe come se ad un’opera teatrale o ad un concerto di qualche cantante non ci fosse il pubblico pronto ad emozionarsi davanti alle esibizioni degli interpreti sul palco. Tutto questo può essere giustificato solo da pure e semplici logiche economiche? Forse per quanto riguarda la massima serie si potrebbero fare delle riflessioni, perché le misure di sicurezza previste dai protocolli sanitari sarebbero forse in grado di essere attuate, ma nelle categorie inferiori la situazione appare assai differente con diverse realtà troppo piccole che si troverebbero a gestire problemi troppo impegnativi per le loro possibilità. Ecco perché la ripresa del campionato in serie B e serie C sembra un’ipotesi piuttosto remota. Ma allora perché non approfittare dell’attuale momento di stasi e attuare la riforma dei campionati a lungo auspicata? Una riduzione delle squadre professionistiche garantirebbe una più equa spartizione delle risorse rendendo più sostenibile l’intero sistema calcio. Nel frattempo domani è in programma una riunione della commissione medica della Figc e dal suo esito si capiranno molte cose sul futuro di questa tribolata stagione calcistica.