Di metafore ne abbiamo sentite a iosa in queste ultime settimane. Il traguardo, la bicicletta, la moto, i centimetri, la ruota e chi più ne ha più ne metta. Ne scelgo un’altra per celebrare come merita questo ritorno fra i giganti del calcio che arriva quattro anni dopo l’inferno: (B)andiera a scacchi. 15 luglio 2014, 23 aprile 2018. Due date, due momenti opposti. Prima il buio, la notte fonda, la sparizione dal calcio professionistico. Poi la resurrezione, la luce, la gioia e il premio a chi ha saputo costruire come mai si era visto a queste latitudini. Quattro anni dopo, il Padova torna da dov’era venuto: è serie B, è matematica, è finalmente gioia allo stato puro, differita di un giorno, ma pur sempre gioia. Alle 22.24 di lunedì 23 aprile 2018, arriva la certezza tanto attesa, con la squadra, l’allenatore e i giocatori riuniti alla Guizza a seguire Albinoleffe-Reggiana. Misteri del calcio moderno, che neppure a tre giornate dalla fine riesce a garantire la contemporaneità delle partite fra due contendenti alla promozione. Ma tant’è, è festa grande, è gioia allo stato puro.
E’ la promozione di Roberto Bonetto, un presidente con p maiuscola, da cui in molti dovrebbero soltanto imparare. Su come si gestisce una società, su come si mescolano ambizione e professionalità, passione e managerialità. Si diceva fosse una testa calda, che fosse un problema per il Padova e per la sua crescita, è stato esattamente l’opposto. Una volta uscito di scena Giuseppe Bergamin, a cui va ancora una volta il ringraziamento per aver contribuito in modo determinante a far rinascere il Biancoscudo dopo i disastri di gestioni che speriamo rimangano per sempre uno sbiadito ricorso, molte cose si sono sistemate. E, un passo alla volta, il presidente ha messo ogni cosa al suo posto, scegliendo con cura ogni persona e collocandola al momento giusto. Perché Roberto Bonetto ha una marcia in più. Senza dimenticare che è stato pure capace di portare un pezzo da novanta come Joseph Oughourlian accanto alla cabina di comando, garantendo pure un futuro a lunga scadenza al club.
E’ la promozione di Edoardo Bonetto, un vicepresidente che, ancor più del padre, era stato etichettato da tanti come una fastidiosa zavorra di cui liberarsi e che, invece, con la tenacia e l’ostinazione che lo contraddistingue, ha dato un contributo fondamentale alla riuscita del progetto. E’ stato lui a portare Giorgio Zamuner a Padova nel ruolo di direttore generale con delega all’area tecnica. E anche in quel caso quella scelta era stata criticata da molti, forse troppi. Quando in realtà si è rivelata la chiave di volta per la resurrezione.
E’ la promozione di Giorgio Zamuner, “l’equilibratore” di Padova, un uomo che ha saputo tenere in piedi situazioni difficilissime e che ha avuto un ruolo fondamentale in questa cavalcata verso la B. Facendo i salti mortali con un budget lontano anni luce dagli sperperi del passato, eppure centrando il primo anno il quarto posto con 66 punti e il secondo anno arrampicandosi in cielo. Fino alla Serie B. Portando tanti giocatori bravi, perché i giocatori li conosce bene e sa scegliere con cura anche le persone. Nessuno è infallibile, ma in questa Serie B la sua mano si vede lontano un miglio. E forse soltanto fra qualche anno si capirà quello che ha fatto in questa piazza dopo anni di eccessi e di sbandamenti che avevano portato dove tutti sappiamo. Un autentico capolavoro gestionale, i cui contorni li conoscono in pochi. Ma che vanno applauditi alzandosi in piedi, perché Zamuner è quello che si dice un grande dirigente. E può ancora migliorare.
E’ la promozione di Pierpaolo Bisoli, l’uomo che in estate fu scelto e che ebbe sin da subito un consenso eccezionale fra i tifosi. Lo dissi a chi di dovere prima ancora che firmasse il contratto: “Prendete Bisoli, è una garanzia”. Veniva da un esonero a Vicenza e da un’esperienza in chiaroscuro a Perugia. C’era qualche piccolo dubbio, subito spazzato via. Detto, fatto. Era ed è il giusto mix fra necessità e carica agonistica, fra meritocrazia e capacità di valorizzare il materiale umano che gli viene messo a disposizione. I meriti indiscutibili (tanti): lancia quattro giovani (Cisco, Ravanelli, Marcandella e Serena), crea valore alla società, gestisce bene il gruppo per lungo tempo. I demeriti (pochi): la gestione del girone di ritorno lascia più di qualche perplessità, ma quel che conta è che alla fine il traguardo sia stato raggiunto. Perché ha ragione, Bisoli, quando dice che una promozione è qualcosa di difficilissimo, quando ricorda che ci sono squadre e piazze invischiate nell’inferno della C da anni e che non riescono a scrollarsela di dosso. Si possono discutere tante cose di Bisoli, ma una cosa è fuor di dubbio: se vinci quattro volte un campionato, non può essere un caso.
E’ la promozione di un gruppo straordinario, perché quando vedi Michele Russo che non gioca quasi mai e che in campo talvolta ha stentato (sfido chiunque a non sbagliare entrando a freddo per pochi minuti o spezzoni di partita), che sceglie di rimanere a Padova nonostante le offerte perché sente di poter essere parte di qualcosa anche senza essere un primattore ti accorgi che dietro le quinte si è costruito qualcosa di importante, di indimenticabile. Perché quando un ragazzo venuto dalla D come Riccardo Serena diventa protagonista è il segno che la strada è giusta. Perché quando nasce una stella (Luca Ravanelli) e vedi che l’allenatore non si fa problemi a fargli spazio mettendo da parte gerarchie ed equilibri apparentemente inscalfibili, è il segnale che la strada è giusta. Perché quando un attaccante, come Marco Guidone, rimane a digiuno per più di mezzo girone, ma non molla e inizia a segnare, oltre a farsi un mazzo così, è il segnale che la strada è quella giusta. Perché quando hai tre protagonisti assoluti (scelgo Alessandro Capello, Nico Pulzetti e Luca Ravanelli come uomini simbolo di questa stagione) ma fatichi a individuare un giocatore insufficiente, è il segnale che la strada è quella giusta. Perché quando i ragazzi del tuo vivaio (Cisco e Marcandella) sfruttano la chance e si mettono in vetrina, coronando un sogno, è il segnale che la strada è quella giusta. Perché quando un padovano come Simone Salviato, che pure qualche difficoltà l’ha avuta in questo spicchio di stagione, dice che “ora posso anche morire”, si capisce come certi valori valgano più di un passaggio indovinato o di una giocata da applausi. Lui e Belingheri, dopo Livorno e Cremona, ecco il tris servito.
E’ la promozione di chi ci ha sempre creduto, anche di chi ha criticato troppo per troppo amore, di chi ha sfidato una città per la quale talvolta il calcio sembra un peso o un fastidio più che una risorsa, di chi temeva la grande beffa. E’ la promozione di tutti quelli che sono qui, accanto al biancoscudo, ognuno a dare il suo piccolo contributo. Magari senza farlo vedere, o rimanendo nell’ombra. Mentre fuori impazza la festa e quel coro così bello sentito tante volte nelle vicinanze negli ultimi anni (“E tanto già lo so che l’anno prossimo, gioco di sabato!”) risuona ovunque. Scrivo questo pezzo prima di andare a letto, magari lo leggerete qualche ora dopo. Magari lo leggerete subito. Magari proprio non lo leggerete. Domani (oggi), è un altro giorno, adesso si può spegnere la luce per un attimo, chiudere gli occhi e dire: bentornato in Serie B, caro vecchio Biancoscudo!