Un altro Roberto Venturato. Diverso. Che, lontano dal clima un po’ ingessato delle conferenze-stampa, si apre svelando il suo lato umano, facendosi aiutare anche da… Robin Williams. Il nocchiero del Cittadella lunedì sera ha vestito gli insoliti panni del docente, partecipando come relatore principale all’incontro “Lo stile comunicativo dell’allenatore”, organizzato dal Campodarsego Calcio e dal responsabile del settore giovanile, Alberto Cagnin, come primo appuntamento di un percorso di formazione di tecnici, educatori e dirigenti. Un centinaio gli spettatori venuti ad ascoltarlo al cinema-teatro Aurora di Campodarsego, dalle società più disparate. È stata l’occasione per ripercorrere le tappe che hanno segnato la sua vita, come l’incidente d’auto, che nel 1983 gli causò la frattura del femore rischiando d’interrompere la sua carriera di giocatore (centrocampista). «Rimasi fermo per due anni, fu un trauma. Non vedevo più nulla davanti, perché non potevo fare quello che mi permetteva di sentirmi realizzato. Da quella strada, strada Castelleonese, sono ripartito con il Giorgione, e lì tutto è ricominciato. Sino alla prima panchina, al Pizzighettone in Eccellenza, portato alla C/1». Al centro dell’incontro il suo rapporto con la comunicazione: «Quando ho smesso di giocare, ero una persona molto introversa e che non sapeva parlare in pubblico». Oggi, fra le difficoltà c’è quella di farsi comprendere da chi mastica poco l’italiano. «Ricordo che quando mio padre è emigrato in Australia per lavoro (Venturato è nato in quel continente ed è rientrato in Italia quando aveva 10 anni, ndr) gesticolava per farsi capire: dalla convinzione che ci metteva riusciva a trasmettere qualcosa, anche se le parole non erano comprese. L’anno scorso, invece, Bobb e Jallow parlavano in inglese: alzavano la mano se non capivano e io rispondevo nella loro lingua». Venturato fa vedere scene del film “L’Attimo Fuggente”, in cui Williams sale in piedi sulla cattedra e invita a guardare le cose da più angolazioni. «La tecnica s’impara, la differenza la fa la passione. Per fare calcio in modo diverso l’allenatore deve avere una visione diversa delle cose e saperla comunicare. A qualsiasi livello: dopo tre anni che seguivo la scuola calcio, i 32 bambini erano diventati 140, perché si divertivano». Altro video, stavolta dal film “Patch Adams”. «Un medico fuori dal coro, che da 45 anni guarisce le persone vestito da clown, cercando di ascoltarle. Ho avuto la fortuna di conoscerlo e penso che l’allenatore non possa che essere così. Il punto di partenza è avere un sogno: devo saperlo immaginare, per riuscire a realizzarlo insieme alle persone che lavorano con me». C’è stato, però, anche un momento in cui Venturato quella passione ha rischiato di smarrirla. «Nel 2010 con la Cremonese abbiamo perso la finale playoff al 91′ su rigore: rimasi così colpito che non ho allenato per due anni. La ritenevo un’ingiustizia terribile. Ma andavo a vedere sedute e partite, ho fatto il corso a Coverciano. Ho allenato la mia passione per il sogno che avevo in testa, cercando di essere pronto quando sarebbe arrivata un’altra opportunità». Ed è arrivata a Cittadella. Qui Tombolato. Ripresa ieri pomeriggio, nella settimana che porterà il Cittadella alla sfida di Trapani di sabato. La seduta è stata aperta da una mezz’ora di analisi video della sconfitta con il Brescia. Ancora a parte i giovani Caccin e Fasolo, tutti in gruppo gli altri, compreso Pascali, tenuto prudenzialmente a riposo contro le “rondinelle” per evitare ricadute dell’infortunio all’inguine destro.
(Fonte: Mattino di Padova)
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Il Cittadella che ha sorpreso il mondo del pallone per le cinque vittorie di fila è finito giocoforza sulla bocca di tutti. I meriti vanno divisi tra chi va in campo e chi allena la squadra, ovvero Roberto Venturato. Il tecnico granata lunedì sera non era sul rettangolo di gioco a impartire lezioni ai suoi calciatori, ma ha vestito i panni del “professore” nell’incontro organizzato dal Campodarsego (nella figura del responsabile del settore giovanile, Alberto Cagnin) sul tema: “Lo stile comunicativo dell’allenatore”. C’erano un centinaio di persone al teatro Aurora di Campodarsego ad ascoltare Venturato, che ha rivissuto le tappe della sua carriera. «L’incontro fondamentale è stato con Emiliano Mondonico, a Cremona. Un tecnico con grandi capacità di comunicare le sue idee. Un episodio poi che mi ha segnato è stato un incidente d’auto che mi fece stare fermo per due anni, un trauma per me. Un momento della mia vita in cui non vedevo più nulla davanti, non potevo fare quello che mi faceva sentire realizzato. Sono ripartito dal Giorgione, e da lì tutto è ricominciato, fino alla prima panchina, a Pizzighettone in Eccellenza, che ho portato fino alla C1». Il tecnico granata ha poi spiegato alla platea il suo modo di comunicare: «Io ero una persona molto introversa e una volta smessi i panni del calciatore non era in grado affatto di parlare in pubblico. Da allenatore delle giovanili del Pizzighettone la prima cosa che ho imparato è stata che i bambini più sono piccoli e più legano la loro comunicazione al canale visivo, che è solo uno dei tre, perché ci sono anche udito e tatto. Il bambino impara vedendo, e quando cresce perde alcune capacità e tutto ciò condiziona anche un tecnico che deve farsi capire da ragazzi di età diverse. La prima volta avevo 32 bambini di 5 o 6 anni, oggi alleno una squadra di 26 giocatori, in cui ognuno recepisce il messaggio in modo diverso». A cominciare dalla lingua. «A Cremona avevo un calciatore che capiva solo francese, è stato un disastro. La stagione scorsa a Cittadella c’erano due ragazzi del Gambia che parlavano solo inglese. Hanno fatto un campionato di spessore, vivevano il rapporto con la squadra come gli italiani: alzavano la mano se non capivano e io rispondevo in inglese». Si è parlato quindi del Cittadella, la sua casa da due anni. «C’è un ordine sovrano che non viene imposto. C’è e basta. C’è competizione, crescita, ma la vera risorsa straordinaria sono i valori. Le persone possono riuscire a realizzare ciò che hanno in mente».
(Fonte: Gazzettino)