Padova, Glerean: “Non sarà facile per i Biancoscudati, hanno cambiato molto. E Cestaro…”

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«Come mi sento ad avere sessant’anni? Sinceramente non ci faccio caso, è come se non li avessi. L’unica cosa che mi fa tornare alla realtà, ahimè, è vedere che ormai nessuno mi chiama più». Ezio Glerean ne ha viste di tutti i colori e in alcuni casi, c’è da giurarci, la sua tendenza ad evitare i compromessi ha contribuito a mettergli i bastoni fra le ruote. Ma guardandosi indietro, oggi il tecnico di San Michele al Tagliamento, protagonista dell’ascesa del Cittadella dalla C/2 alla Serie B, il “Profeta” del 3-3-4, divenuto poi allenatore anche del Padova (con un diverso epilogo), non ha grandi rimpianti, se non quello di aver rifiutato la Serie A in nome delle proprie convinzioni. Oggi taglia il traguardo dei 60. Che festeggerà in famiglia, in tranquillità, come quando, tra una partita e l’altra, si dedica all’orto. Dopo 5 anni senza più un’esperienza in panchina, più del passato è il presente a farlo sentire estraneo. Estraneo ad un calcio diverso da ciò che si aspettava. «Alla mia età», ammette, «credo che potrei avere ancora qualcosa da dire…».

Perché Glerean non ha più estimatori? «Perché nel calcio di oggi ci sono personaggi che godono di enorme credito pur non avendo mai fatto niente, in confronto a chi da tanti anni è sul campo: io ho sempre trasmesso ai miei giocatori ciò che avevo ricevuto dai miei tecnici, mi reputo un educatore prima ancora che un allenatore, ma questo ormai non conta più. Regole e disciplina sono uscite dalle priorità di un calcio italiano che guarda solo ai risultati». C’è una soluzione? «Non credo. A dirigere le società ci sono dei “capistazione”, invece di gente competente e seria: presidente e allenatore dovrebbero sempre venire prima di tutto, specialmente di direttori e procuratori. Ma i presidenti hanno paura e si affidano a mani sbagliate, gli allenatori pure e si adattano sempre al solito gioco». Sessant’anni anni sono un bel traguardo. Quali i ricordi più belli? «Tantissimi. Il Sandonà non andava da 40 anni in Serie C, il Cittadella non era mai stato in B, tra le soddisfazioni di una vita ci sono anche i tanti giocatori che ho lanciato. Mi sarebbe piaciuto lavorare ancora, il campo mi manca, ma non posso tornare alle condizioni di oggi».

I nomi che non può dimenticare? «Angelo Gabrielli, ovviamente. Una persona straordinaria, che mi ha fatto toccare con mano il grande calcio, per lui ho rifiutato quattro volte la Serie A e questa è la testimonianza di quanto fossimo legati. Ma ci sono anche i miei primi maestri, da Costenaro a Suarez: molti ragazzi di oggi, purtroppo, abbandonano il calcio proprio perché non trovano persone che li facciano appassionare». E Marcello Cestaro? «Di lui ho un bellissimo ricordo: era entrato in questo mondo pieno di entusiasmo, con serietà e correttezza, ma si è dovuto adattare alla realtà di cui parlavo prima. Se si fosse affidato ad un allenatore o a un ds serio, magari sarebbe finita diversamente». Il 23 novembre 2003, dopo aver perso il derby con il Cittadella, si dimise. Perché? «Fu una provocazione, anche nei confronti di una parte della tifoseria che mi contestava solo perché venivo da Cittadella, e questo non mi andava giù. In granata ancora oggi ci sono le stesse persone di allora: lì c’è un’anima, un’identità, hanno deciso di seguire una strada e sono andati avanti. È questo il calcio che non c’è più».

Quindi si aspettava il loro immediato ritorno in Serie B? «No, perché per la prima volta erano partiti dichiaratamente con tale obiettivo. Avevano sicuramente una buona squadra, ma sono stati bravi a riuscirci». Il nuovo corso del Padova, invece, le piace? «Credo che aver lasciato a casa Pillon sia stato un gravissimo errore. Non ha raggiunto i playoff, ma ha fatto qualcosa di straordinario, ha portato regole e disciplina, ha sempre messo i suoi valori di fronte alle scelte». Cosa pensa del fatto che a gestire l’area tecnica ci sia Zamuner, un ex procuratore? «Conosco bene Giorgio, si allenava con me a Sandonà. È un bravo ragazzo, e credo si sia messo a fare il direttore proprio perché deve aver capito di dover agire in maniera diversa, se voleva far strada. Ma lui ha fatto calcio, e ne sa. Mi voleva l’anno scorso a Pordenone: rifiutai perché con Lovisa c’era stato uno spiacevole precedente». Come vede le due padovane nella prossima stagione? «Il Citta sa quello che deve fare, mentre il Padova ha cambiato di nuovo volto: non sarà facile».




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