Un editoriale Fabrizio De Poli lo merita. Perché lascia la poltrona di direttore sportivo un dirigente mai banale, uno che, quando il mondo del calcio lo aveva “rinnegato” era persino finito a vendere casse da morto in Cina. Me lo raccontò in un pomeriggio di novembre, pioveva ma faceva caldo, era il clima giusto per le confidenze. Nessuna vergogna, ci mancherebbe, il lavoro nobilita l’uomo e chi si rimbocca le maniche va sempre rispettato. Dopotutto io sono laureato in cinese, la Cina un po’ la conosco e forse potevo capire. Mi raccontò tanti episodi, che è giusto che rimangano confidenziali, ma che comunque testimoniano alla perfezione l’indole di una persona che non si è mai arresa e che ha saputo riciclarsi come il perfetto camaleonte, anche quando davanti infuriava la tempesta.
“Pronto, Guarda che prendono De Poli”…. Era il luglio del 2014, io mi sono appena preso l’unica settimana di vacanza degli ultimi due anni, mio figlio è ancora nella pancia di mia moglie, il lavoro incombe sempre e comunque, c’è pure il crac del Padova da metabolizzare. Valsugana verso i monti, qualche giorno di respiro, penso di aver lasciato temporaneamente il campo di battaglia con le dritte perfette: “Andrea Seno direttore sportivo, Carmine Parlato allenatore”. La seconda era giusta, la prima poteva esserlo, ma alla fine ecco De Poli. De Poli, De Poli… Ci avevo parlato parecchie volte, lo conoscevo abbastanza bene. Mai approfondito più di tanto, però l’opinione complessiva a pelle era positiva. Mi sembrava un buon uomo, magari un po’ ombroso, magari imperscrutabile in alcuni momenti, magari chissà…
I veleni di quell’estate erano ancora nell’aria, però c’era quel “Pronto, guarda che prendono De Poli”. Feci cinque telefonate, non ce ne fu uno che me ne parlò bene. Eppure io non parto mai prevenuto, non lo avevo fatto neppure con Cestaro e, pensate un po’, neanche con Penocchio. Figuriamoci con De Poli. Da un lato mi ero messo le mani nei capelli: “Ecco, è uno di quei direttori che non mi darà mai una notizia di mercato. Anzi, se potrà mi metterà fuori strada…”. Non ci avevo visto sbagliato, ma poi pensai: “Dopotutto quali direttori mi hanno dato notizie?” La risposta (“nessuno”) mi aveva tranquillizzato. E avevo tirato dritto.
La vacanza dura meno, torno a Padova ed ecco De Poli, i primi contatti, le prime telefonate. Era felice come un bambino di essere tornato in pista, la voce era sempre calma, le notizie come sempre non te le dava neppure sotto tortura. Eppure mi trasmetteva serenità, una boccata d’aria pura dopo anni di veleni e delle sceneggiate patetiche del Re Sole Cestaro, che per fortuna alla fine tutti hanno capito chi era e come ragionava. E di tutta la sua “Corte dei miracoli”, come la chiamava un collega amico da una vita con cui ci sentiamo poco, ma per il quale la stima è sempre intatta. La “Corte dei Miracoli” e Cestaro, gente piccola con poche eccezioni (De Franceschi e Crovari, per i quali ho stima), che pensava unicamente a quello che Cestaro poteva dare, ossia soldi. Ecco, De Poli con Cestaro non avrebbe mai potuto lavorare, perché lui era diverso. Un calcio pane e salame, ma per davvero, non per finta, come voleva apparire l’ex Re Sole poi caduto (giustamente e finalmente) in disgrazia. De Poli comincia a costruire la squadra. Due telefonate e capisco che sarà del tutto inutile parlarci, ma che almeno un rapporto umano si potrà cercare di averlo.
E poi comincia la giostra. I provini ad Asiago, vagonate di giocatori che vanno e vengono, x-factor traslato al calcio dilettantistico. Rimango perplesso, ma alla fine penso: “Siamo in Serie D, può funzionare, almeno a questi livelli”. Di giocatori buoni De Poli ne porta, per esempio un certo Minincleri. Mi informo e tutti mi dicono: “Gran bel centrocampista, un esterno coi fiocchi”. Poi però sparisce, non ha firmato e va al Siena. Pazienza, la giustificazione c’è, la società non può firmare i contratti. E va bene. Poi arriva Cesca e lì il primo pasticcio. Un gran brutto pasticcio, che mette in difficoltà Carmine Parlato e la società, ma è giusto tenere duro, difenderlo e provare a capire. Arriva Tiboni, non sarà la stessa cosa, ma siamo in Serie D e va bene lo stesso. Le voci critiche continuano, i provini pure, in estate arriva pure uno dalla Nuova Zelanda che si fa 23 ore di volo e poi viene rispedito indietro due giorni dopo. Mica una bella cosa, ma andiamo avanti lo stesso. Dopotutto De Poli porta Ilari e Petrilli, un lusso per la Serie D e pure Aperi non è male, un gran bell’esterno. “Ma guarda che il mercato l’ha fatto Parlato”. Mica vero. O almeno, non tutto. I giocatori buoni li porta anche lui, la squadra vince, vince e vince ancora e torna in Lega Pro. E De Poli ride e scherza con tutti, regala gag inimitabili, come quando accetta di fare un video con un mio collega in cui sfotte la mia retrocessione al fantacalcio. Mitico, quel video è storia. O come quando a Pieve di Cadore accanto a Gabriele ed Andrea regala momenti memorabili a chi resta a sudare ed annaspare in città.
E qui cominciano i problemi. Un cda societario fa scricchiolare le alleanze, perché De Poli dice che Parlato non è l’uomo giusto per la Lega Pro, Bergamin alza le spalle e magari è d’accordo, Bonetto invece crede ciecamente nell’allenatore che ha riportato Padova nei professionisti. Sul mercato, le guerre puniche: Parlato vuole confermare Nichele, Sentinelli, Segato, Thomassen, Zubin, De Poli dice che non va bene, che non sono giocatori per fare il grande salto. Chi ha ragione? Secondo me De Poli. Solo che De Poli ne combina qualcuna di troppo, continua con i provini inutili, qualche tempo dopo tessera Ramadani (ma come si fa?), scova un certo Gorzelewski che nessuno sa chi sia e che quando mi dicono il nome la prima volta non trovo nulla neppure su internet. Ecco, Fabrizio, è qui che ti stai giocando la credibilità, più che mai quando poi a settembre ci sono problemi di tesseramento e in gran silenzio non si deve far sapere. E si rimane senza un difensore. Quanti problemi…. Come quando arrivi a una settimana dall’inizio del ritiro con sette giocatori in rosa e ti assediano e ti obbligano a prendere Giandonato, che tu non volevi e che invece ti ritrovi in rosa. Chi ha ragione? A posteriori anche qui De Poli. Che ne fa tante di giuste e altrettante di sbagliate. Le giuste: Diniz, Fabiano (che qualcuno, Parlato compreso, non voleva, ahi ahi ahi….), cerca De Risio, fa affari sempre con gli stessi procuratori (eppure i giocatori migliori vengono tutti da quel giro), si piglia critiche (“ma chi è questo De Risio?”) e però poi alla fine ha ragione lui. Così come avrebbe avuto ragione su Arcidiacono. Ne sbaglia altrettante: Anastasio è un esterno alto, alle finali Primavera gioca nel tridente del Napoli e non è un esterno basso (!), non sa difendere e non è quello che ci vuole. Manca un centrale difensivo, come vice Dionisi arriva Dell’Andrea dal Venezia, davanti siamo scarsi, l’ultimo giorno arriva lo sconosciuto Cucchiara dal Trapani, un onesto tappabuchi che ha pure problemi con la visita d’idoneità. Certo che, Fabrizio, a volte te le vai proprio a cercare…. In estate succede di tutto, a un certo punto sia Diniz che Fabiano se ne vogliono andare, perché capiscono che il clima non è quello giusto, ma alla fine tutto rientra. Per merito di De Poli? Qualcuno dice di sì, altri mi dicono di no. Vai a capire dove sta la verità
Ma i problemi non finiscono e arrivano quelli veri. A Pavia Amirante, che aveva un ginocchio in frantumi e che non aveva giocato neppure un minuto, che al mercoledì piangeva solo a scendere dal letto, va addirittura in panchina, entra pure in campo(!) e qualcuno prima o poi spiegherà come sia stato possibile che un direttore sportivo, un segretario, un team manager, un dirigente accompagnatore e un allenatore non si siano accorti che un giocatore che non era stato tesserato era in lista. E che sarebbe pure entrato nel secondo tempo. Aiuto, ferma tutto! Apriti cielo, cose del genere non succedono neppure alle partite da dopolavoristi che giochiamo pure noi poveri disgraziati per divertirci. E qui l’affondo è diretto: Roberto ed Edoardo Bonetto chiedono la testa di De Poli, in tutta onestà hanno pure ragione. Un direttore non può permettere una cosa simile, del resto se con l’allenatore non parla non c’è neppure da stupirsi che accadano cose simili. Passano le settimane, arriva una mini tregua e la squadra va sempre peggio, Parlato viene esonerato dopo lo 0-0 con la Pro Patria e bisogna scegliere l’allenatore. Succede, allora, che De Poli vorrebbe Moriero, che questo si fa 1000 chilometri convinto di essere il nuovo allenatore del Padova e alla fine il cda sceglie Pillon. De Poli è con le spalle al muro, nessuno lo può dire, ma è l’ennesima alzata di spalle, fioccano le solite smentite, ma la verità è che stavolta De Poli è in minoranza. Ingoia quest’ennesimo boccone amaro e, stavolta secondo me ha torto lui, perché Pillon è quello che ci vuole in questa situazione.
Fanno pace (????) con Bonetto, vanno avanti e a gennaio ecco di nuovo i soliti problemi. De Poli vuole Dermaku del Pavia, mentre dalla società spingono per Sbraga, De Poli combina il pasticcio Dell’Andrea col Campodarsego, vorrebbe Cristofoli che poi finisce al Cuneo, però poi prende De Risio, si porta a casa pure il discreto Sparacello, De Poli rifiuta lo scambio Dell’Andrea – Finocchio col Pordenone e giustamente qualcuno si arrabbia. Alla fine Finocchio arriva per davvero, al posto di Ramadani, ma non è farina del sacco di De Poli e lui stesso lo ammette. Si va avanti navigando a vista, la tregua è solo apparente, la squadra va e arriva a un passo dai playoff. Non ci arriva e De Poli qualche errorino di valutazione strategico nella gestione del gruppo lo commette pure qui. Stavolta si arrabbia pure Bergamin, dietro le quinte ne succedono ancora (e non sono sciocchezze), De Poli stavolta è nudo. Arriviamo ad oggi e a quel comunicato delle 17 e rotti minuti. E’ finita, ma lo si era capito da tempo. Fabrizio De Poli non è più il direttore sportivo del Padova, di sicuro mancherà a molti, ne ha fatte tante di giuste e tante di sbagliate e non tutti i meriti che appaiono all’esterno sono suoi. Ma neppure i demeriti. Chi ha ragione? Chi lo voleva ancora al Padova oppure chi pensava ci fosse bisogno di una svolta? Lo scopriremo solo vivendo, come con Parlato, quando il suo esonero sembrava una bestemmia e invece era la cosa giusta. In bocca al lupo, caro Fabrizio, dovunque tu andrai. Con tutti i tuoi pregi e tutti i tuoi difetti, un segno lo hai comunque lasciato. E nessuno lo dimenticherà mai.