Le tre promozioni consecutive ottenute con il Treviso, dalla D alla B tra il ’95 e il ’97, sono roba da record. «Mi diedero la possibilità di salire in B e poi in A, che magari avrei visto solo col binocolo», ride Bepi Pillon, che poi nel 2005 portò ancora il Treviso alla storica promozione in A, e l’anno successivo col Chievo raggiunse il miglior piazzamento di sempre, un quarto posto (dopo le sentenze su Calciopoli) con tanto di preliminari di Champions. La lunga carriera del tecnico trevigiano ha conosciuto alti e bassi, tra cui l’esonero a Padova nel ’98. A dicembre Pillon proprio dal Padova, prossimo avversario del Pavia, è ripartito. Ha accettato senza remore di tornare a Padova? «Sì, per me è una società particolare, ci ero stato pure quattro anni da giocatore: una piazza importante, la squadra è seguita da 5-6 mila persone. Quando sono arrivato la squadra era quintultima e la società mi ha chiesto di portarla alla salvezza al più presto. Ora siamo in una situazione intermedia, a due punti dalla salvezza e a -5 dalla zona play off. Non è facile recuperare lo svantaggio, ale prime vanno forte. Però vediamo cosa succede». E’ esagerato dire che quest’anno il girone A di Lega Pro è quasi una B2? «No, sono d’accordo, è il girone più difficile e ci sono tante squadre molto attrezzate, che giocano bene, organizzate, con giocatori di qualità: Cittadella, Pavia, Alessandria, Bassano, Feralpi e poi il Pordenone, che sta facendo un campionato strabiliante. Sono squadre già pronte per la B».
Ha detto che i giovani talenti devono giocare, ne ha visti in Lega Pro? «Molti. Quando un allenatore si accorge di avere un giovane interessante deve farlo giocare. Al Treviso Reginaldo e Barreto erano nella Primavera e nelle partitelle mettevano in difficoltà elementi della prima squadra, della quale poi sono subito diventati titolari». Da allenatore dell’Ascoli, nel 2009, ordinò ai suoi giocatori di regalare il pareggio alla Reggina dopo che la sua squadra aveva segnato approfittando dell’infortunio di un avversario. Conta il fair play? «Alcuni dei miei non erano d’accordo, ma decisi così. Fu una cosa istintiva, quando c’è qualcosa di eclatante è giusto intervenire. Ma non è semplice, perché nel calcio ci sono tanti interessi e noi allenatori veniamo giudicati per i risultati, non per il lavoro i (l’Ascoli perse quella partita, ndr)». Gli scontri con i calciatori sono fisiologici, o comunque l’allenatore va rispettato? «Credo che le regole vadano rispettate da tutti, altrimenti si genera anarchia ed è difficile gestire il gruppo». Che pensa dell’ipotesi di moviola in campo? «Non sono contrario, a patto che la comunicazione sia immediata. A me piace il calcio inglese perché ci sono poche interruzioni, magari sorvolando su qualche fallo. Ne guadagna in bellezza la partita». Ha allenato tante squadre, da nord a sud. E’ importante ambientarsi a livello di città? «Non mi piace andare in giro, apparire. Non è mancanza di rispetto: voglio essere il meno possibile condizionato».
Dei giocatori che avuto qualcuno l’ha sorpresa in positivo o in negativo? «Ne ho avuti tanti. Barzagli, per esempio, a Pistoia e Ascoli. Era molto giovane e da centrocampista non mi piaceva: lo trasformai in difensore centrale. Ho avuto anche Bonucci, Amauri. Barreto invece avrebbe potuto fare di più». Bisogna puntare ancora sul calcio all’italiana o assencondare tecnici come Sarri, Sousa o Di Francesco? «In Italia abbiamo i migliori allenatori, siamo all’avanguardia tatticamente, magari non ci sono tanti grandi giocatori. Abbiamo il nostro modo di stare in campo, non basato sul possesso palla, tendiamo più alla verticalizzazione e a giocare là dove si può mettere l’avversario in difficoltà». Del Chievo le resta la straordinaria esperienza in A e Champions o il rimpianto di non aver potuto proseguirla? «E’ stato fantastico, raggiungemmo il miglior piazzamento di sempre del Chievo. Poi la Champions, dove uscimmo subito con il Levski Sofia, ci tolse qualcosa perché a inizio stagione non era previsto che la facessimo. La squadra poi si indebolì, Amauri fu ceduto e la Coppa Uefa ci costrinse a giocare ogni tre giorni». Se non avesse allenato? «All’inizio ho lavorato 4 anni in banca. Poi mi chiamò il Treviso e feci una scelta, d’accordo con la famiglia». Il Padova è in ascesa, ma anche il Pavia. Che gara sarà? «Tosta: incontriamo una squadra costruita per andare almeno ai play off, con elementi di qualità come Sforzini, Ferretti, oltre a Cesarini che è squalificato. Brini è molto bravo e conosce perfettamente la categoria. Però noi la affrontiamo come le altre».
(Fonte: La Provincia Pavese)