Una vittoria, quella di sabato a spese dell’Albinoleffe, che sembrava scritta nel destino. L’ultimo successo biancoscudato risaliva al 24 ottobre e in quella occasione venne battuto il Mantova per 3-0, con gol di Neto Pereira nel primo tempo e doppietta di Petrilli nella ripresa. A seguire dalla tribuna quella gara, l’unica del Padova da lui vista dal vivo, c’era Giuseppe Pillon che, per un’incredibile coincidenza, 42 giorni dopo ha visto dalla panchina la stessa squadra, appena passata sotto la sua guida, prevalere con il medesimo risultato e con identica sequenza di reti. «Sinceramente – replica il giorno dopo l’allenatore di Mogliano – non ci avevo pensato. Contava solo vincere e mi fa comunque piacere che i ragazzi abbiano confermato la buona impressione che mi avevano fornito quel giorno». Diciotto anni fa in serie B, il 31 agosto 1997, il suo precedente esordio da tecnico all’Euganeo. Quella volta erano maggiori l’entusiasmo e le aspettative della vigilia, ma fu peggiore l’esito sul campo, con ko per 1-0 con il Castel di Sangro per un gol di Tresoldi dopo sette minuti. «Il calcio è strano e mille variabili possono decidere una partita, anche senza una logica».
A parte la brevissima esperienza a Pisa – due sole gare prima di dimettersi – Pillon era fermo da un anno e mezzo. «Dopo 22 anni di carriera in panchina, mai mi era capitato di stare a fermo così tanto e la cosa mi pesava. Adesso ho a disposizione sei o sette mesi per cercare di dare il meglio». In una simile situazione come ha vissuto la vigilia? «Il giorno prima in maniera serena perché la squadra aveva risposto bene e vedevo i ragazzi concentrati sul campo. Con l’avvicinarsi dell’incontro, c’è sempre la tensione che precede l’inizio e sabato era maggiore del solito. Significa che c’è voglia di continuare questo lavoro a cui evidentemente devo dare ancora tanto». E a fine gara non sono mancati i messaggi di congratulazioni per l’esordio vincente. «Mi hanno fatto piacere le testimonianze d’affetto dei miei numerosi ex giocatori in giro per l’Italia o degli amici che ho a Padova». Quale è l’aspetto che l’ha sorpresa maggiormente in positivo? «La società, organizzata sotto ogni punto di vista, e l’ambiente che tutto sommato era sereno e privo d’isterismi. Per il resto, ragiono in termini di squadra nel suo complesso».
Squadra che sabato ha fornito vari spunti. «Ci sono grossi margini di miglioramento, ma i ragazzi si sono applicati e hanno fatto bene tutto quello che avevo chiesto loro, con disponibilità al sacrificio e al gioco di squadra, dato che il mio credo calcistico prevede che si attacchi e si difenda in undici». Anche dove c’è da crescere, sono arrivate indicazioni incoraggianti. «C’è da lavorare maggiormente sulla manovra e lo sviluppo offensivo, ma sapevamo che avremmo trovato un avversario con dieci uomini dietro la linea. Serviva pazienza e i ragazzi hanno saputo fare girare la palla senza la fretta e la frenesia che fanno commettere gli errori, sfruttando l’occasione propizia per fare male». «Questo Padova mi piace – aggiunge – perché ha voglia di fare, buon punto di partenza. Si può vincere o perdere, ma poi il lavoro viene fuori e la partita è il frutto di quello che si fa in settimana. Se nel gruppo c’è questa cultura vuol dire che Parlato ha operato bene, anche se nel calcio, purtroppo, le fortune degli allenatori dipendono dai risultati. Io stesso ho vissuto momenti stupendi e la forte delusione degli esoneri».
(Fonte: Gazzettino, Andrea Miola)