Massimo Cacciari talks during the presentation of Francesco Rutelli book "La svolta" in Milan, Italy, Tuesday, Oct. 27, 2009. Rutelli harshly criticized Italy's center-left opposition, whose new leader Pier Luigi Bersani was elected Monday, announcing he might leave the Democratic of the left, to join others in the birth of a new "political subject". (AP Photo/Alberto Pellaschiar)

Venezia-Mestre, Cacciari: “Spero che i veneziani capiscano quanto è triste un derby simile, ma dubito…”

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Il nonno portava allo stadio lo zio, lo zio lui, e la tradizione arancionera si è tramandata. «Pronto con la sciarpa? Ce l’ho sempre al collo…», dice Raffaele Speranzon, ex assessore (Fratelli d’Italia-An) della Provincia di Venezia. «Ci mettevamo tutti fuori dai cancelli del Baracca, gli stessi di oggi, aspettando che qualcuno ci portasse dentro: una volta i ragazzi non pagavano e si entrava allo stadio accompagnati dal papà o dal nonno “temporaneo”», ricorda l’ex vicesindaco pd Michele Mognato. Non c’è colore politico, perché la passione è trasversale, unisce destra e sinistra, va oltre gli steccati del consiglio comunale di Ca’ Farsetti. Amarcord, ricordi di un passato lontano che sembrava non tornare più con Venezia post fusione lanciato verso altri lidi (e serie) e il Mestre rinato dalla ceneri nel 1994 a disputare il campionato di Eccellenza. «Bruttissimo segno, orrido», spegne qualsiasi emozione Massimo Cacciari. «Abbiamo lavorato vent’anni anni per fare una sola grande squadra che potesse primeggiare. Spero che i veneziani abbiano un briciolo di cervello, di cui fortemente dubito, per capire quanto è triste un derby simile». Era il 1987 quando le due società divennero una sola. La maglia era bianco o gialla, i colori di riferimento arancio, nero o verde. Nessuno allora aveva fatto i conti con la lentezza della burocrazia che ha fatto scappare Maurizio Zamparini, imprenditori con pochi soldi o che volevano solo sfruttare il nome di Venezia. Inevitabile così che i due fallimenti abbiamo portato indietro la lancetta di 28 anni anche se i colori non sono più quelli di una volta. Da una parte è rimasto l’arancionero, dall’altra l’arancio si è inserito tra il nero e il verde, ma la sostanza non cambia. Una si chiama sempre Mestre, l’altra sempre Venezia nonostante una prima parentesi VeneziaMestre e una breve Unione Venezia. «Una porta i colori, il simbolo e il nome della mia città, l’altra i colori, il simbolo e il nome del mio comune», sintetizza Speranzon. In mezzo ci sono stati anche tre referendum (il primo si è svolto nel 1979) di separazione delle due città andati a vuoto. «Una volta il campanilismo era più forte in campo, come sugli spalti, caricato dallo spirito di separazione e di identità che rivendicavano i mestrini. Ho sempre trovato la cosa ridicola, adesso mi pare sia ridimensionata», dice il sindaco della fusione Nereo Laroni. In realtà c’è anche chi resta a guardare, come qualche veneziano doc che «l’ibrida creatura» di Zamparini non l’ha mai digerita. Sono gli stessi che chiedono che la coppa Italia vinta dal Venezia di Loik sia data al Venezia neroverde, identità calcistiche da rispettare tra colori, storia e tradizione. «Sarebbe bello esserci, ma manca qualcosa, manca il Venezia, che nulla ha a che vedere con gli arancioneroverdi», dice il consigliere di Municipalità di Venezia (Fratelli d’Italia) Pietro Bortoluzzi. Nostalgia dopo quasi trent’anni passati nell’oblio e dei rituali di una volta. Le tappe di avvicinamento a Sant’Elena scandite da rigorose puntate in osterie per ombre e cicheti che portavano allo stadio i tifosi più allegri che concentrati sulla partita. O il corteo dalla stazione di Mestre allo stadio Baracca. «L’emozione era soprattutto il viaggio da via Piave a viale Garibaldi: arrivavamo in treno con qualche bandiera neroverde che diventavano sempre di più man mano che camminavamo grazie ai veneziani trasferiti in terraferma che si aggiungevano», riprende. Storie di derby, di politica, di passione che si spezza non in due (le squadre che si affronteranno domani) ma in tre per rancori mai sopiti. «Eppure io in un certo punto della mia vita ho sposato la causa arancioneroverde, lasciando quella arancionera — spiega l’onorevole Mognato — Le domeniche al Baracca di quando avevo 15 anni me le ricordo ancora, ma il progetto di Zamparini era ambizioso, poteva regalare una grande squadra alla città. Poi le cose sono andate in altro modo… Per chi tifo? Più che sugli spalti mi piacerebbe essere in campo». Pronostici? «Vinciamo noi, se i derby li vincono i più deboli il Venezia non avrà scampo», sorride Speranzon.

(Fonte: Corriere del Veneto, edizione di Venezia)




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