Ai confini si parla l’italiano, spaziando dall’esuberante accento romanesco alla parlata tranquilla e chiusa della bassa lombarda. Nel mezzo, invece, c’è una zona in cui l’unica lingua ammessa è il portoghese. Non è la descrizione di una strampalata nazione situata chissà dove e composta da chissà quali popoli, non è di questo che stiamo parlando. È, invece, la topografia di una difesa, quella biancoscudata, che, nonostante un grosso rinnovamento, si è scoperta subito solida ed efficiente. Un gol incassato nelle prime tre gare di campionato (come solo Cremonese e Cittadella, ma con una partita in meno) ha permesso al Padova di ritrovarsi lì, a guardare tutti dall’alto in basso. E i segreti di una retroguardia granitica sono nelle caratteristiche degli elementi che la compongono. Parlato ci ha messo relativamente poco prima di trovare la quadratura del reparto: un paio di esperimenti, poi ha individuato il quartetto ideale.
Ciò che sorprende è il fatto che 4 elementi che insieme non avevano mai giocato siano riusciti così in fretta ad amalgamarsi al meglio. «L’intesa c’è e quello è fuori di dubbio», conferma Matteo Dionisi, «ma il merito non è solo di noi quattro. Se abbiamo preso un solo gol, è perché tutta la squadra fa una bella fase difensiva, partendo già dagli attaccanti: le palle agli avversari arrivano sporche e per noi è più facile difendere la porta». Ma alla base di una simile compattezza cosa c’è, oltre al lavoro quotidiano? Secondo Dionisi il segreto di quest’inizio di stagione è stato un robusto schiaffo preso in faccia, capace di dare la scossa a tutti. «La partita con il Pordenone. Alla fine da lì è cambiata la musica. È stato in quell’occasione che abbiamo capito davvero che la Lega Pro non ti permette nemmeno mezzo errore». L’ultimo arrivato. Dalla parte opposta, invece, c’è Alessandro Favalli, il quale, giunto in fretta e furia verso la fine del “mercato”, è sceso in campo sin dalla prima occasione e dalla posizione di terzino sinistro non si è più mosso. «Giochiamo insieme da poco tempo, ma finora è andata davvero bene», spiega il terzino cremonese.
«Abbiamo l’esperienza necessaria e la giusta solidità, ma dobbiamo migliorare ancora». E seppur non sempre con prestazioni eccelse, lo stesso Favalli finora è riuscito a dire la sua: «Parlato mi chiede di fare quello che so: se posso spingere è giusto seguire gli esterni e accorciare in avanti per arrivare al cross. Finora sono soddisfatto del mio inizio e di quello della squadra». Il nuovo mondo. Nulla, però, in confronto a ciò che accade al centro, una particolare zona del campo in cui si parla solo portoghese. Marcus Diniz e Fabiano, i due brasiliani amici da un decennio ma mai compagni di squadra prima d’ora, compongono una delle coppie meglio assortite che a memoria si ricordino nelle ultime annate biancoscudate. «Io sono più veloce, lui è alto, e per questo ci completiamo a vicenda», spiega Diniz.
«Siamo felici di come sono andate queste tre partite, è dal ritiro che lavoriamo bene con mister Parlato, e adesso siamo già affiatati l’uno con l’altro. Tra di noi l’intesa è nata subito». Nel corso della partita, la lingua italiana viene quasi dimenticato. Così i due si capiscono meglio: «Dopo dieci anni e un solo ritiro insieme a Monza, grazie a Dio ora che giochiamo insieme sta andando tutto bene», ammette Fabiano. «Non prendiamo gol e questo fa bene all’intera squadra. Mentre giochiamo, il portoghese ci scappa anche se non lo vogliamo: ci chiamiamo a vicenda, ci avvisiamo sulla posizione degli avversari, ci sentiamo quando c’è da correggere qualcosa».
(Fonte: Mattino di Padova, Francesco Cocchiglia)