L’eroe che non ti aspetti è brasiliano. Classe 1990. Professione: ovviamente calciatore. Ruolo: centrocampista. Di quelli che magari non segnano spessissimo, ma quando lo fanno riescono a lasciare il segno.
Il suo nome? Felipe Campanholi Martins. E forse vi dice qualcosa. Perché adesso veste la maglia dei New York Red Bulls, con cui ha appena vinto il “Derby della Grande Mela” segnando il gol del definitivo 2-0 contro il City dei “Genius” Andrea Pirlo e Frank Lampard. Ma nella stagione 2008/09 la sua seconda pelle era biancoscudata…
In quel campionato, infatti, collezionò quattro presenze col Padova. Niente male, per un diciottenne di cui tutti parlavano un gran bene. Tutto, dunque, sembrava filare liscio. Sembrava, appunto: a cavallo tra i due anni gli viene riscontrata una miocardiopatia ipertrofica asimmetrica. In parole povere, Felipe ha il cuore ingrossato. Ed in base alle normative vigenti non può giocare in Italia.
Un gancio che metterebbe al tappeto anche il più forte dei pugili. E lui, inizialmente, soffre. Parla di “sogno spezzato”, ricordando quando da bambino tirava calci ad un pallone in Brasile sperando di diventare un calciatore professionista. E sono forse questi frammenti di vita passata a dargli la forza di reagire. Gli basta passare il confine svizzero: lì le regole sono meno ferree, e nel giro di tre anni riesce a mettersi in luce. Tanto da farsi notare oltreoceano.
Nel 2012 arriva la chiamata dei Montreal Impacts. Lui prende il primo aereo e va in Canada. Mette insieme 107 presenze e 14 gol, numeri che lo mettono nel mirino dei New York Red Bulls. Il resto è storia. Recentissima: azione insistita di Mark Grella, rasoterra di Felipe, Saunders battuto. Il tabellone parla chiaro: Red Bulls-City 2-0. Con buona pace di Pirlo e Lampard.
La morale della favola? La vita toglie e la vita dà, bisogna solo essere bravi a cogliere le occasioni giuste. E a trasformare un problema in uno stimolo. Per spiccare e lasciare il segno. Tanto a Padova quanto a New York. Complimenti, Felipe…