Fonte: Mattino di Padova, Stefano Volpe
Ivone De Franceschi è in vacanza. Anche se non l’avrebbe voluto. Quantomeno non l’avrebbe voluto in questo periodo, quando tutti i suoi colleghi sono nel momento più intenso e decisivo del proprio lavoro. Il direttore sportivo vive d’estate e invece, in questo torrido luglio 2015, il 41enne dirigente padovano è costretto a osservare il “suo mondo” da casa, o al massimo sotto l’ombrellone. Eppure ci sono tante notizie che rimandano, in un modo o nell’altro, a lui. Belle e brutte. Partiamo da quelle negative. La situazione del Venezia ormai è compromessa, la terza radiazione negli ultimi 10 anni è ad un passo. De Franceschi, lei è stato direttore sportivo arancioneroverde fino allo scorso 30 giugno. In Laguna possono ancora sperare? «Non credo proprio, ed è un peccato. Non se lo meritava nessuno, dai giocatori, ai dipendenti, ai tifosi. Credo che il destino del Venezia sia segnato, impossibile che si iscriva con questa proprietà».
Come si spiega il comportamento di Korablin, che lascia morire tutto senza dare notizie né spiegazioni? «È una mezza figura, c’è poco da dire. Un comportamento inqualificabile, che corona un’annata allucinante. In primavera non c’erano più soldi, avevamo problemi anche a pagare alberghi e ristoranti. Nessuno vedeva lo stipendio da mesi. E le prime avvisaglie si erano già avute a novembre, quando arrivarono i deferimenti per i mancati contributi versati. In situazioni simili il 12º posto raggiunto è un grande risultato per squadra e tecnico». L’ultima volta che ha visto il presidente russo? «Sono stato tre volte a Mosca, l’ultima a febbraio. Ci ha sempre rassicurato, faceva apparire tutto perfetto. E invece… Non so spiegarmi questo comportamento». Ha notato analogie con il Padova di Penocchio? «Non posso giudicare, alla fine sono rimasto meno di un mese con Penocchio. E fino a quel momento nessuno immaginava che sarebbe andata a finire male». Alla fine, però, il Padova è ripartito alla grande. Le piace la nuova società? «Molto. Mi sembra che si sia impostata la linea giusta e l’ambizione non manca. C’è gente seria, non si sperperano soldi e non sono stati fatti grandi proclami».
L’ultimo a costruire una squadra a Padova, dopo una promozione, fu lei in B nel 2009. E tra i vari acquisti portò a casa un certo Darmian, il calciatore del momento, dopo il suo passaggio dal Torino al Manchester United per 20 milioni. Se lo sarebbe mai aspettato? «Ai Red Devils magari no, ma ero pronto a scommettere che avrebbe fatto una carriera di livello. Aveva grandi doti, sia calcistiche che umane, un ragazzo serio. Sono contento per lui, anche se…». Rimpianti? «Il 2009 a Padova fu il mio primo anno da direttore sportivo. Ero inesperto e commisi errori, lo ammetto. Mi si rimprovera sempre di aver portato Vantaggiato, che secondo me è comunque un ottimo attaccante, e mi si ricorda solo per questo. Ma quell’anno portai, oltre a Darmian, anche Bonaventura».
«Entrambi potevano essere riscattati ad un milione, sebbene Darmian avesse anche un diritto di controriscatto. Il Padova avrebbe potuto investire su di loro e, a giudicare da quanto valgono adesso, non avrebbe fatto male. Dissi a Cestaro di riscattarli, ma non volle». È uno dei maggiori errori che si imputano all’imprenditore vicentino. «Il calcio nelle serie minori è praticabile solo investendo sui giovani e cercando di limitare le spese. Anche se in Lega Pro è diventato insostenibile. Qualcosa deve cambiare per forza, visto che ogni società è in perdita e sempre più squadre non riescono ad andare avanti». Cosa c’è nel suo futuro, adesso? «Sono in attesa di trovare una nuova sistemazione, anche se in questo periodo è difficile. Vedremo. Questo lavoro mi piace e voglio continuare a farlo. Intanto andrò a vedere tante partite, comprese quelle di mio figlio. Gioca nei Pulcini del Padova, se la cava bene e per me è una grande emozione vederlo indossare quella maglia».