Padova, Bigon: “I biancoscudati? Meritano di tornare in alto, hanno un bel gruppo dirigenziale e un ottimo staff tecnico. Ma la nostra famiglia…”

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Fonte: Mattino di Padova, Stefano Volpe

Le vie del calcio certe volte sono davvero strane e insospettabili. Così, all’interno di Palazzo Moroni, sede del municipio di Padova, capita di imbattersi in una mostra di disegni dedicata alla storia del Napoli. Ma quelli che appaiono due mondi lontani in realtà sono legati da alcuni tratti in comune. Anzi, per meglio dire, da una famiglia. «Noi Bigon abbiamo vinto la metà dei trofei conquistati nella storia del Napoli», sorride Alberto, 67 anni, alludendo non solo allo scudetto e alla Supercoppa vinta da allenatore con la squadra di Maradona, ma anche alle tre coppe alzate al cielo da suo figlio Riccardo, in qualità di direttore sportivo nell’ultima era De Laurentiis. Così proprio Bigon padre è stato l’ospite d’onore alla presentazione del libro “Una storia azzurrissima” di Marco Perillo e Giuseppe Sirio Esposito, nella sala Paladin del Comune. «La soddisfazione più bella è girare per le vie di Napoli e sentire la gente che dice: “Per noi il nome Bigon è musica”. E non tutti si ricordano che a Napoli ho avuto una parentesi anche da calciatore. Era il 1967, uno squadrone con Altafini, Zoff e Sivori. Poi c’è stata l’epoca magica del secondo scudetto, non era facile ripetersi dopo il primo successo di Bianchi. Tutti mi chiedono come sia stato allenare Maradona, che era certamente il migliore al mondo. Ma non vinse lui da solo, c’era una grande squadra».

Albertino Bigon, nato a Padova e cresciuto in biancoscudato, dopo una grande carriera da calciatore e allenatore, da qualche anno è tornato a vivere sui colli Euganei. A sei anni dall’ultima esperienza in panchina, ha ormai detto addio al mondo del calcio, anche se gli resta un rammarico: «Credo che Padova negli anni si sia dimenticata di avere in casa la famiglia Bigon, e questo mi dispiace. Sarebbe stato bello tornare a lavorare qui, ma, a parte un breve contatto all’inizio degli anni ’80, non sono mai stato preso in considerazione dalle varie dirigenze biancoscudate. Riccardo ebbe un colloquio con Cestaro qualche anno fa, ma non se ne fece niente». Proprio suo figlio da poche settimane ha abbandonato Napoli per accasarsi a Verona. Come mai? «De Laurentiis dice che l’ha fatto per avvicinarsi a casa, ma non è vero. Lui a Napoli stava benissimo e credo sia stata una scelta sofferta quella di abbandonare la società partenopea. Ha accettato un progetto interessante come quello dell’Hellas e credo che in azzurro si fosse chiuso un ciclo. La partenza di Benitez non è un caso. Per riaprire una stagione di vittorie ci vuole tempo, ma in ogni caso Riccardo e il Napoli si sono lasciati da amici e la risoluzione del contratto è stata consensuale».

A Padova, invece, si è aperto un ciclo nuovo dopo la dolorosa caduta tra i dilettanti. Sta seguendo l’avventura biancoscudata? «Certo, con grande attenzione e fervore come tutti i tifosi. Quello che è successo l’estate 2014 è stato nauseante e credo proprio che Padova non lo meritasse. C’è chi dice possa essere servito da lezione, ma era meglio se non fosse capitato. Tuttavia, credo si sia ripartiti nel migliore dei modi, ci sono un bel gruppo dirigenziale e un ottimo staff tecnico. C’è voglia di far bene, spero si possa tornare presto in alto, dove la piazza padovana merita di stare». Nel frattempo continuano ad imperversare scandali di ogni tipo, da partite comprate a casi scommesse. Si può ancora credere in un calcio pulito? «Bisogna credervi, ma purtroppo lo scenario è avvilente. Qualche giorno fa parlavo proprio con mio nipote. Nel 1980 ero il capitano del Milan coinvolto nel “Totonero”, ma ero totalmente estraneo e non avevano avuto nemmeno il coraggio di avvicinarmi. Purtroppo il dio denaro la fa sempre da padrone, ma, come io ho parlato con mio nipote, credo che per ridare credibilità al calcio bisogna proprio partire dai giovani. Educarli alla lealtà, all’onestà e ai veri valori sportivi».




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