Un fiume in piena. Anzi, due: Renzo e Stefano Rosso lanciano dalle colonne de “La Gazzetta dello Sport” l’allarme sul calcio italiano. E non usano mezzi termini…
Il primo a prendere la parola (nel corso della bella intervista realizzata da Marco Iaria) è Stefano, presidente del Bassano. Il quale parte subito in quarta: «La questione dei ripescaggi è emblematica dello stato attuale del calcio italiano. Ogni estate il sistema si schianta perché tutela dirigenti poco raccomandabili, società e giocatori che si vendono le partite. Vogliamo lanciare un allarme: occhio che chi sta ai vertici non ha alcuna intenzione di cambiare. Ho letto le dichiarazioni di Abodi ma ora è il momento di cambiare, non tra un anno. Se non lo si fa, sarebbe più logico bloccare i ripescaggi, fare pulizia e attuare una selezione naturale che porti finalmente a una riduzione dei club professionistici. Non capiamo più le logiche che muovono chi governa il calcio italiano. O forse le capiamo benissimo: sono logiche guidate dagli interessi economici, delle tv in particolare». E scala una marcia quando si arriva a parlare di Claudio Lotito: «Sta sempre lì. Chissà se verrà deferito… D’altronde la giustizia sportiva è la stessa che non si sta muovendo sul Novara, nonostante il campionato sia finito da un bel po’».
A superare il muro del suono, però, ci pensa il padre Renzo, “mister Diesel”: «Sono anni e anni che dico che il calcio è marcio e corrotto. Noi a Bassano abbiamo portato managerialità ed etica, sogniamo in grande guardando ai modelli Sassuolo, Carpi e Frosinone, ma non è possibile vivere bene in questo mondo: troppe variabili impazzite. Ci sono persone o che campano di espedienti, e mi riferisco a presidenti di club che non hanno i soldi. Da qui la malagestione, gli episodi di corruzione, le zone d’ombra. Tutto questo deve finire altrimenti il calcio italiano non si risolleva».
Poi tocca di nuovo a Stefano Rosso parlare del suo Bassano: «Soffriamo l’impossibilità di fare programmazione, pur avendo varato a Bassano un progetto di ampio respiro con il coinvolgimento del territorio e dell’imprenditoria locale. C’è incertezza sulla categoria in cui giocare, sui criteri per l’utilizzo dei giovani, sulle modalità di ripartizione dei diritti tv. Norme che si tolgono e che si inseriscono, un gran pasticcio. E poi c’è il grosso problema del mancato rispetto delle regole. In questa stagione abbiamo perso la promozione diretta a Monza, giocando contro una squadra fallita da mesi. Dopo è toccato al Pordenone, sconfitto dallo stesso Monza e retrocesso. Perché quel club è stato iscritto? Perché non è stato fermato a gennaio? Senza dimenticare che in B l’Entella è retrocesso perché qualcun altro si è comprato la salvezza».
La chiusura è dedicata ad un’ulteriore analisi generale: «Cosa manca al calcio italiano? Se ha perso terreno nei confronti dei competitor europei, è perché il prodotto si è svilito in assenza di progetti seri dal punto di vista manageriale e politiche di medio-lungo termine. Nelle istituzioni vige un sistema in cui tutte le pedine devono essere allineate altrimenti si scende sempre a compromessi. Coni e Federazione sono prigionieri di un sistema che non governano più. Il calcio italiano va gestito da manager e non da politici. Macalli? Il suo tempo è finito, se mollasse adesso farebbe solo il bene della Lega Pro. Vogliamo il cambiamento ma il vero problema è che non si è ancora presentata un’alternativa forte. Svegliamoci, il commissariamento sarebbe una sconfitta per tutti quanti: non abbiamo tempo da perdere, la Lega Pro sta fallendo. La mia ricetta? «Paletti all’ingresso per far sì che chi entra abbia tutti i requisiti; pene esemplari per chi sgarra; meno squadre ma più sane; facilitazioni per gli stadi di proprietà; più sgravi fiscali».