Fonte: Mattino di Padova, Stefano Volpe
Fabrizio De Poli, eravamo rimasti al 21 luglio scorso. È tarda sera, le squilla il telefono, lei risponde e dall’altra parte della cornetta una voce le chiede: “In che bar sito?”. Era il presidente Bergamin. «Sì e io non ero al bar ma a casa, ho ricevuto la proposta della società e ci ho messo poco ad accettare. Volevo tornare a Padova».
Nove mesi dopo può festeggiare una promozione ottenuta partendo da zero. Non aveva nemmeno un giocatore in mano e con quasi due mesi in meno di tempo a disposizione rispetto alle concorrenti ha costruito una squadra vincente. Il segreto? «La prima cosa di cui abbiamo discusso era il budget e mi hanno messo a disposizione delle cifre superiori rispetto alla media della categoria. Ricordo un messaggio di Edoardo Bonetto il giorno in cui è stata ufficializzata la mia nomina. Mi ha scritto: “facci divertire”».
Così è stato, ma con quante difficoltà? «Rispondo con un altro messaggio, ricevuto il giorno prima della partenza per il ritiro. Mi scrive il presidente Bergamin: “Può bastare un pullmino da nove posti, visto che non abbiamo giocatori?”. Io rispondo: “Presidente, guardi che ne abbiamo già presi”. Ne abbiamo provati tanti, ma era inevitabile».
Come ha fatto a creare un gruppo così coeso? «Grazie all’umiltà di tutti. Il complimento più bello che ho ricevuto dai tifosi è proprio questo: si vede che giocate con umiltà».
L’acquisto che l’ha più sorpresa? «Busetto. Per il modo in cui è arrivato. Nell’ultimo anno del settore giovanile a Padova aveva avuto qualche difficoltà, siamo andati a ripescarlo per una serie di coincidenze e poi è stato in grado di ritagliarsi un grande spazio. E non era facile in questa squadra».
Il giocatore che più la diverte? «Mattin è uno fuori di testa. Trasmette un’allegria e una serenità contagiose, è diventato la mascotte di tutti».
Il momento più delicato? «Dopo la sconfitta di Mogliano, arrivata nell’unico momento in cui ci siamo rilassati e siamo stati un po’ presuntuosi. La settimana successiva è stata pesante, anche perché io e il mister ci siamo fatti sentire. Ricordo di aver detto alla squadra: “Se c’è qualcuno che non ha più voglia di condividere questo progetto, alzi la mano e si faccia da parte”. Nessuno rispose e da lì è partita la striscia vincente».
Lei è uno che parla tanto al gruppo? «No, il contrario. Faccio pochi discorsi, anche perché così mi ascoltano di più. Ho parlato al gruppo, staff e tecnici compresi, il primo giorno di ritiro. Ho chiesto solo due cose: rispetto reciproco tra tutti e di lavare i panni sporchi in casa».
Il rapporto con Parlato? «Buono. Mi piace perché è un uomo umile e intelligente. Oltre ad essere un bravo allenatore. E la sua intelligenza lo porterà a migliorare gli aspetti in cui può ancora crescere dal punto di vista professionale».
Quando ha compreso di avercela fatta? «A Valdagno. Nonostante la sconfitta, ho capito che eravamo più forti e solo noi potevamo perdere il campionato».
Lei ha ottenuto due promozioni a Padova anche da giocatore. Quale le ha dato più soddisfazione? «Tutte, vincere è sempre bello. In questo caso mi ha ripagato del lavoro, dei sacrifici e del coraggio avuto in questi mesi».
L’emozione più bella? «La vittoria con la Sacilese in casa e l’abbraccio con mio figlio al centro del campo a Legnago».
Non ci sono dubbi sulla sua conferma l’anno prossimo, o no? «Stiamo discutendo con la proprietà, che ringrazierò sempre. Da parte mia vorrei restare, ovviamente decideranno i dirigenti. La settimana prossima avrete tutte le risposte».
Nel caso in cui restasse, rivoluzionerà la squadra per la Lega Pro? «No, io manterrei l’ossatura, con un po’ di rinforzi mirati».