Fonte: Mattino di Padova, Francesco Cocchiglia
Quindici anni fa, il 19 marzo del 2000, faceva il suo esordio con la maglia biancoscudata, subentrando nel derby con il Mestre quando ancora era un ragazzino diciottenne. Dopo 87 presenze, decise di tornare in patria per giocarsela ad alti livelli, ma il destino, un giorno, ha deciso di riunirli. Dan Thomassen, il danese che parla in dialetto veneto, fra quattro giorni di anni ne compirà 34, ma ha già trovato qualcosa da festeggiare: dopo le tre presenze in Coppa Italia, contro la Triestina, domenica scorsa, ha timbrato il decimo gettone in campionato. E in tutto, a questo punto, fanno 100 presenze: nel club di eletti che al Padova hanno legato il loro nome indissolubilmente ora c’è anche lui. «E ne sono contentissimo», ammette. «È un bellissimo traguardo». Può dire di aver legato il suo nome a questa squadra ancora più di prima… «Diciamo che ho molte più presenze in città che non in campo con la squadra (e sorride, ndr). Il legame mi era sempre rimasto, ma mai mi sarei aspettato di tornare qui dopo così tanti anni e raggiungere questo traguardo. L’anno scorso il Padova si trovava in tutt’altra situazione, io avevo la mia, e non l’avrei mai ritenuto possibile».
Cosa ricorda di quel periodo? «Sono arrivato nel ’98, nel ’99 ho fatto il ritiro con la prima squadra e poi ho cominciato ad allenarmi stabilmente con il gruppo di Beruatto, pur giocando il sabato con la Primavera. Verso la fine di quella stagione (1999/2000) ormai eravamo già salvi e non lottavamo nemmeno per i playoff, quindi il mister decise di lanciare me e qualche altro giovane. La mia prima fu con il Mestre, se non sbaglio». Non sbaglia. Ed era il 19 marzo… «Scherza? Quindi sono passati 15 anni esatti! Un po’ mi vergogno a dirlo, ma non mi ricordo assolutamente niente di quel giorno. Il che è strano, di solito l’esordio dovrebbe essere la prima cosa che un giocatore rammenta, invece sono altre le partite che mi sono rimaste più nel cuore». Per esempio? «Quella che a Trieste vincemmo alla vigilia di Natale nell’anno della promozione dalla C/2 alla C/1, perché fu l’ottavo successo consecutivo. E poi quella di Bolzano contro il Sudtirol, che ci permise di vincere il campionato: da allora è quello il ricordo più bello che ho, con questa maglia addosso».
Vede analogie tra quel Padova, che trionfò nel campionato di quarta serie, e quello di oggi, che sta provando a fare lo stesso? «Non saprei dire, perché la vissi in maniera diversa: all’epoca ero un diciottenne alla mia prima esperienza, per me era tutta una novità, il pensiero era rivolto a me stesso, all’Euganeo e alla pressione del match. Ritornare con 15 anni di esperienza in più mi ha permesso di viverla in modo diverso, ora mi rendo conto meglio del significato di questa maglia e di questa piazza, e di tutto ciò che gira intorno ad una società». Chiudiamo il cassetto del passato e veniamo al presente. Dopo un inizio di stagione da “gregario”, nelle ultime gare ha detto la sua conquistando la palma di migliore in campo. «Mi fa piacere, ma il risultato della squadra è al di sopra di tutto, e questa è stata la considerazione che ho portato con me sin dall’inizio: anche quando non giocavo, l’ho sempre vissuta abbastanza bene. Adesso chiaramente sono molto contento di giocare, ma ci sono certi valori che in campo vanno portati a prescindere dal fatto che si trovi spazio la domenica».
E il suo futuro? «Parliamone a fine stagione: non riesco ad avere altri obiettivi diversi da quello che tutti conosciamo». Non ha un sogno nel cassetto da esaudire con questa maglia addosso? «Ci ho messo 15 anni a raggiungere 100 presenze, arrivare a 200 mi sa che è dura. Diciamo che una cosa ci sarebbe: ho esordito con il Mestre, ho fatto 100 con la Triestina, sono praticamente un uomo da derby, ma con il Venezia non ho mai giocato, noi eravamo in C e loro in A. Quindi, se proprio devo dirlo, il sogno sarebbe vivere il derby con il Venezia con questa maglia».