Fonte: Mattino di Padova, Francesco Cocchiglia
Non alla famiglia, non alle figlie o ad un amico più stretto. L’ultima vittoria del Padova, quella sul Mezzocorona, Carmine Parlato l’ha voluta dedicare a Fabrizio De Poli. Non è una vita facile, quella all’interno di un rapporto diesse-allenatore: a volte l’uno ha un’idea e l’altro l’opposta, oppure prende un giocatore che all’altro non fa assolutamente comodo. A Padova, quest’anno, uno dei segreti è proprio l’alchimia fra il direttore sportivo e il tecnico, che ha contribuito a portare i grandi risultati di oggi. «La dedica non me l’aspettavo», confessa De Poli, «e devo dire che mi ha fatto davvero piacere, è una cosa importante per me, e lo ringrazio». È vero, come ha detto Parlato, che a volte lei soffre anche più dei giocatori? «Da fuori sembro un ghiacciolo, in realtà soffro come tutti gli altri e l’unica differenza è che ho una maniera diversa di pormi: cerco di non mostrarlo, mi tengo tutto dentro, anche se a volte non è facile». Il mister le ha anche fatto la dedica dicendo “nel bene e nel male”. Significa che tra voi ci sono stati anche piccoli attriti? «Per niente, non c’è mai stato un litigio. Bruno Giorgi un giorno mi disse: “Il calcio è semplice, sono le persone che ci sono dentro a renderlo difficile”. Io spero di avere la fortuna e la possibilità di avere al mio fianco persone che non complicano il mio lavoro, come sta avvenendo ora: Carmine ed io ci siamo sempre trovati bene, se abbiamo avuto diversità di vedute semplicemente ne abbiamo discusso».
Di allenatori nella sua carriera ne ha visti tanti. Parlato ha qualcosa di diverso dai “tanti”? «Ha dei valori importanti di sicuro, ma deve crescere e per farlo deve calcare campi di categoria superiore. In più ha un vantaggio, è una persona intelligente. Lo metterei entro i primi 5 allenatori che ho avuto, ha grandi margini di miglioramento: per certi versi, in lui rivedo qualcosa di Angelo Gregucci, per mentalità e tipologia gli assomiglia molto». Si sarebbe aspettato, sinceramente, di arrivare con 7 punti di vantaggio a questo punto della stagione? «No, anche perché dopo l’Union Pro ci era rimasta una ferita aperta, che per fortuna abbiamo immediatamente richiuso. La partita di Mogliano mi aveva fatto veramente incavolare: approccio sbagliato, gara sballata, una delle cose a cui faccio più attenzione è proprio quella di stimolare la squadra a non avere cali di attenzione». Dopo quella domenica, cos’è accaduto? «Ne ho parlato con il gruppo. Ho utilizzato parole molto dure, e la squadra proprio in questa situazione ha dimostrato di essere forte».
Trenta punti per vincere il campionato: è una quota irraggiungibile? «Io parto dal presupposto che di punti dobbiamo farne 36. Non è presunzione, è che sarebbe importante non arrivare allo scontro diretto dell’ultima giornata con ancora la promozione in ballo. Preferirei evitarlo, in 90’ può succedere di tutto. E se pensiamo com’è finita a Valdagno…». Quand’è che comincerà a impostare il lavoro per la prossima stagione? «Lo sto già facendo, perché nel bagaglio della società devono esserci più valutazioni possibili, indipendentemente dalla categoria che l’anno prossimo affronteremo». Il fatto che lei sia o meno, nel 2016, ancora diesse è una variabile che non conta? «So di essere in scadenza di contratto e come tale ragiono: devo dimostrare di lavorare per il futuro, anche sapendo che il rapporto può chiudersi il 30 maggio. Sarebbe stupido non dare quel qualcosa in più per garantire continuità al progetto avviato da Bergamin e Bonetto. Se poi il protagonista sarò io o qualcun altro, non fa differenza». A proposito di bagaglio: pensa che ci sia qualcuno, in questa squadra, in grado di affrontare un campionato superiore? «Per me qui ci sono molti che possono giocare in Lega Pro, anche più di una decina. Ma bisogna essere realisti, si dovrà valutare che indirizzo dare alla stagione 2015/16».