Fonte: Mattino di Padova, Stefano Volpe/Gazzettino, Pierpaolo Spettoli
Un sorriso che nasconde una buona dose di timidezza e quella forza d’animo tipica di chi ha una voglia enorme di riprendersi ciò che un destino beffardo aveva provato in tutti i modi a togliergli. Sarà un esordio, quello con il Padova, che non scorderà mai Salvatore “Savio” Amirante. E le ore successive alla doppietta che ha steso l’Union Ripa La Fenadora forse sono ancora più dolci. Sì, perché Amirante si è gustato il grande entusiasmo del popolo biancoscudato, con gli abbracci, i complimenti e gli incoraggiamenti dei tifosi della “Fattori”, nel brindisi natalizio a Rubano. Si è gustato anche i tantissimi messaggi arrivati al cellulare, con gli amici della Liguria incollati alla tv estasiati dalla sua doppietta. E si è potuto gustare anche il suo secondo gol, visto che dal campo non aveva nemmeno avuto la percezione di quanto fosse stato bello. «Non mi ricordavo fosse venuto così bene», sorride il centravanti. «Devo dire che è proprio un bel gol. In campo sei chiamato a decidere tutto in una frazione di secondo e l’unico modo che avevo per scavalcare il difensore era tentare il pallonetto. Poi l’ho toccata un po’ con tutte le parti del corpo, forse anche il braccio. Ma non era fallo…».
Una doppietta per chiudere alla grande il 2014, l’anno della rinascita per lui. Diciotto gol complessivi da gennaio a dicembre, di cui sedici con la maglia della Lavagnese, nel girone A di serie D. E quella luce in fondo al tunnel, che ad un certo punto quasi non si vedeva più, torna a risplendere. «Ci voleva, anche perché ero reduce da tre anni infernali nel vero senso della parola. L’ultima stagione in Germania mi sono rotto la caviglia, sono stato fermo nove mesi e ho deciso di tornare in Italia, perché mi mancava il mio paese. Esordisco nel 2011 con il Savona in C/2, segno alla prima partita e dopo cinque minuti mi rompo il crociato del ginocchio destro. Dopo l’operazione e sei mesi di fisioterapia avevo sempre dolori lancinanti e così nuovi esami hanno scoperto che l’operazione andava rifatta. Torno sotto i ferri dopo un anno, ma prima di rientrare a pieno regime mi ci vuole un’altra operazione di pulizia. In tre anni avrò giocato venti minuti in tutto». Gli anni della piena maturità di un calciatore, Amirante è stato costretto a passarli più nelle cliniche che in campo. Ha temuto di dover appendere le scarpe al chiodo? «Sì, ero quasi convinto che non avrei più potuto giocare a pallone. I medici mi avevano dato il 50% di possibilità di poter tornare in campo».
«Sono stati tre anni pesantissimi, in cui il calcio mi è mancato molto, e devo dire grazie alla mia famiglia e alla mia fidanzata Roberta, che mi sono sempre state vicine. E grazie anche alla Lavagnese, che ha creduto in me e mi ha dato una mano». Poi è arrivato il Padova e Savio non ci ha pensato su due volte. Non voleva farsi sfuggire il treno. «Ho scelto questa piazza per ritrovare le emozioni perdute e non potevo sperare in un esordio migliore. Ho passato quattro anni in Germania, giocando di media davanti a 10 mila persone. Volevo ritrovare un tifo caldo e ho stimoli da vendere». Com’è stato il primo impatto con la squadra? «Mi ha accolto benissimo. Ho trovato un gruppo solido, che ha una voglia matta di vincere il campionato. Sapevo di arrivare in una grande squadra, ma non pensavo fosse così forte». E tra i tanti complimenti a Savio c’è anche quello dell’ex compagno alla Lavagnese, Riccardo Santi, in gol anche lui con la Clodiense contro l’Altovicentino. «Ci ha fatto un bel favore, è un amico ed è stato anche lui a suggerirmi di venire a Padova». Cosa si augura per il 2015? «Di vincere il campionato, voglio solo questo. I gol non mi interessano, voglio provare le emozioni di un trionfo».
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Soggiorna all’hotel Europa in attesa di trovare casa, la via del gol invece l’ha trovata al primo colpo. Una doppietta da favola nella vittoria con l’Union Ripa La Fenadora che ha già fatto entrare Salvatore “Savio” Amirante nel cuore dei tifosi. «È un sogno, meglio di così non poteva andare – esordisce l’interessato – Ho cercato di dare il massimo e avendo alle spalle giocatori come Cunico, Ilari e Petrilli sapevo che la palla prima o poi arrivava. Dovevo sfruttarla e l’ho fatto. Familiari, fidanzata e amici a Genova mi hanno visto in televisione, erano più emozionati di me. Anche i miei ex compagni della Lavagnese hanno guardato la partita ed erano contenti». Il suo ambientamento con il Padova è stato più veloce di un lampo. «I compagni mi hanno aiutato, c’è un gruppo bello, solido e forte nel quale tutti remano per lo stesso obiettivo». Che effetto le ha fatto l’Euganeo? «Una bella bolgia. Mi hanno stupito i tifosi, si vede che è una piazza da altre categorie». Nel reparto avanzato ci siete lei, Ferretti e Zubin, senza dimenticare il giovane Pittarello. La concorrenza non manca. «Sono tutti ragazzi bravissimi, erano contenti anche loro per la mia doppietta. È giusto che ci sia concorrenza, per vincere un campionato ci vogliono venti giocatori forti».
«Davanti siamo tutti ottimi attaccanti, ma non c’è alcun problema: giocare o andare in panchina poco importa, conta vincere tutti insieme il campionato». Che impressione le ha fatto Parlato? «Ci tiene un sacco, guarda ogni singolo particolare e cerca di non sbagliare niente, che è fondamentale per vincere». Alla Lavagnese è rinato (16 gol da gennaio 2014) dopo un lungo calvario. «Sì, ero rimasto fermo quasi tre anni per un infortunio al ginocchio: rottura del crociato nella partita d’esordio con il Savona in Lega Pro, dieci minuti dopo avere segnato un gol. Dopo il primo intervento e la riabilitazione di sei mesi sentivo ancora delle fitte al ginocchio, mi dicevano che era normale e che c’era da soffrire, ma non riuscivo a giocare. E così ho dovuto sottopormi a un altro intervento e a un’altra lunga riabilitazione, ma mi dava sempre problemi. Fino a quando ho fatto un terzo intervento, questa volta di pulizia. Oggi per fortuna sto abbastanza bene». Prima di Savona, anche cinque anni all’estero con gli svizzeri dello Schaffhausen (serie B) e i tedeschi del Carl Zeiss Jena e del Germania Windeck (seri C). «Un’esperienza tosta perché non conoscevo la lingua, ma molto bella, che mi ha formato come calciatore e come uomo».
Da giovane invece era nel vivaio della Sampdoria. «Sono tifoso della Samp, ma non in maniera esagerata. Mi fa piacere se vince». Curiosità: il soprannome Savio? «Mio nonno e mio padre sono napoletani e mi hanno voluto chiamare Salvatore, ma a mia madre non piaceva e mi ha chiamato sempre Savio. Tutti mi chiamano così e mi piace, se qualcuno mi chiama Salvatore non mi giro neanche». Il suo contratto con il Padova è fino al termine della stagione. «Cercherò di dare il massimo, poi vediamo come vanno le cose. Di sicuro sarei davvero onorato di giocare con i biancoscudati anche in Lega Pro». Sabato è uscito nella ripresa, poteva restare in campo qualche minuto in più? «Con la Lavagnese ero abituato a giocare sul sintetico, correre su un campo in erba è più faticoso. Ho sofferto un po’ i crampi, mi devo abituare». Un attaccante che ammira? «Mi è sempre piaciuto Ronaldo, il “fenomeno”, anche se io ho altre caratteristiche. Tecnicamente è stato un giocatore mostruoso, mi ha sempre impressionato».