Fonte: Mattino di Padova, Francesco Cocchiglia
A Chioggia ha lasciato il cuore, ed è per questo che quella con la Clodiense non è mai una partita come le altre. Sul campo dello stadio Ballarin, tra le vie del porto e ai tavoli della pizzeria Rustichello, Gustavo Ferretti ha vissuto i primi, intensi della sua vita italiana. Cinque anni e 43 gol: un trampolino di lancio che avrebbe fatto svoltare la sua carriera. L’esperienza sfortunata a Perugia non l’aveva abbattuto, a Milano era arrivato per giocarsi col Brera la sua seconda chance. Da pochi mesi in Italia, il Rulo sbarcò in riva all’Adriatico pieno delle speranze dei suoi vent’anni. «Arrivai a Chioggia in una giornata splendida: era estate e c’era un sole incredibile, le spiagge erano piene di gente e c’era un calore unico. Mi sistemarono all’hotel Sole, sul mare, e lì conobbi per la prima volta il presidente Pavan e mister Sormani». Fu la prima volta in cui Ferretti incrociò l’allenatore che l’avrebbe plasmato come attaccante. Da buon difensore qual era, con Sormani si convinse che segnare era nelle sue corde: cinque stagioni e 43 gol ne furono la riprova. Chioggia per Ferretti è una seconda casa: anche due giorni fa l’attaccante biancoscudato era lì, a pranzo a casa dei tanti amici da cui non si è mai staccato.
Le immagini di quegli anni felici sono lì, nella memoria: «Ero un ragazzino quando arrivai, ma il paese mi fece sentire subito a casa. I tifosi mi cantavano Rulo gol, al Ballarin vedevo sventolare le bandiere dell’Argentina, tante immagini che porterò sempre con me. Uno stadio incredibile, che per com’è fatto in piccolo ricorda un po’ l’Appiani. Ah, mi viene la pelle d’oca ogni volta che ci entro il sabato mattina. Avrei voluto vederlo, pieno di gente doveva essere una bella caldaia…». Proprio in granata, nel 2005, per la prima volta giocò insieme al fratello Pablo, che oggi è tornato in Argentina. E poi c’è lei, Katia, una ragazza siciliana che all’epoca lavorava d’estate in un campeggio del luogo e che, di lì a poco, non sarebbe stata più una qualunque: «Dopo dieci anni ora siamo marito e moglie, è la madre di mia figlia Clara, lei è la cosa più bella che mi lega a Chioggia. Ci siamo conosciuti praticamente per caso, con i colleghi veniva a mangiare nell’albergo in cui alloggiavo insieme ad altri miei compagni, e quando, un paio di anni più tardi, venne a studiare a Padova, cominciammo a frequentarci di più».
Dalle sale da pranzo dell’hotel la vita chioggiotta di Ferretti viveva di molti luoghi che sarebbero poi entrati nell’album dei ricordi: «Come la pizzeria Rustichello, i gestori Fabio e Salvino», ricorda, «o la mamma di un mio compagno che il venerdì sera mi preparava un tiramisù eccezionale. Loro, come moltissima altra gente, sono diventati presto un punto di riferimento». E poi c’erano loro, i tifosi: quei tifosi che, ormai da qualche anno, hanno deciso di lasciare il Ballarin, delusi da una proprietà che, dopo aver acquisito il titolo del vecchio (e fallito) Union Chioggia Sottomarina, ha deciso di mantenere il proprio nome di Clodiense, in barba alla storia e alla fede del paese. «La storia è una, a Chioggia c’è solo il Chioggia: sarebbe come se il Padova fallisse e riprendesse vita sotto il nome, che so, di Guizza», spiega Ferretti, «Al Ballarin ho visto più di tremila persone per le partite in Serie D, per molti di loro andare a vedere il Chioggia la domenica era un rito, venivano in tanti a vedere persino gli allenamenti».