Fonte: Mattino di Padova, Stefano Volpe
C’è una foto, postata ieri su Facebook, che ha spopolato in poche ore aprendo immediatamente il libro dei ricordi del Padova e di Carmine Parlato. La foto in questione, linkata sulla bacheca del mister da Lanfranco Mogno, ritrae un giovanissimo Parlato nell’albergo di Cles, in trentino, dove il Padova era in ritiro a luglio 1990. Attorno al mister due simboli della storia biancoscudata come Galdersi e Sandreani (all’epoca vice allenatore di Colautti), oltre a Di Livio, Bistazzoni e Pradella. «Oh mamma mia», ha esclamato Parlato subito dopo aver visto la foto. «Qui sono proprio uguale a mia figlia più grande. Che bei ricordi, che bei momenti. Io ero il classico pischello, avevo diciannove anni e al mio fianco tanti grandi giocatori. È sempre emozionante vedere questi scatti». E non è l’unica immagine amarcord che in questi mesi tanti biancoscudati hanno regalato al tecnico campano. Nonostante una sola stagione da calciatore a Padova, Parlato, per i suoi modi e il suo attaccamento alla città, è rimasto nel cuore della gente. E la testimonianza arriva dalla miriade di messaggi che i tifosi gli lasciano sulla sua bacheca Facebook. «C’è un rapporto di grande rispetto e stima reciproca tra me e la gente sui social network», spiega Parlato.
«Ovviamente si cerca di non andare mai sopra le righe, loro mi chiedono disponibilità e io cerco di darla il più possibile. In questo periodo stiamo ricevendo tanti complimenti e questo non può che far piacere. I tifosi sanno di essere parte centrale del nostro progetto e il rapporto con loro è fondamentale». Tanti applausi all’indirizzo del tecnico sono arrivati anche dopo la partita contro la Triestina, quando Parlato ha invitato la piazza a non far drammi per il primo pareggio in campionato. «Non mi stancherò mai di ripetere che più andiamo avanti più le difficoltà aumenteranno, per questo il fatto che la gente ci stia vicina è un aspetto che ci infonde grande fiducia. Abbiamo bisogno di sentire calore e incitamento da parte dei nostri tifosi». Nonostante il carattere mite e all’apparenza riservato, Parlato mostra quindi di apprezzare i tanti messaggi, consigli e incitamenti che continuano ad arrivargli. «Ricordo bene che uno dei concetti ripetuti al corso di Coverciano è quello della solitudine dell’allenatore. Un tecnico deve abituarsi a sentirsi solo durante la sua avventura in panchina. Finora era successo così anche a me, ma quest’anno devo ammettere che, grazie al trasporto dei tifosi, né io né i miei giocatori ci siamo mai sentiti soli».