(red. – Vi proponiamo un video – tratto dal canale YouTube di Stenepamchannel – relativo all’ormai storico Giorgione-Padova del 2000, col servizio realizzato all’epoca per Telenuovo da Gianluca Di Marzio)
Fonte: Corriere del Veneto, Dimitri Canello/Mattino di Padova, Francesco Cocchiglia
Ammoniaca, minacce, pistole. Tutto in quell’ormai famoso derby del 12 febbraio 2000 in cui a Castelfranco tra Giorgione e Padova scoppiò il finimondo. Domenica il derby ritorna dopo oltre 14 anni di assenza e, fortunatamente, si parlerà solo di calcio.
Lo scenario del 2000: un derby di C2 al Comunale castellano e, negli spogliatoi, alcuni indizi inequivocabili: l’odore di ammoniaca, il bruciore intenso agli occhi, la necessità per il Padova di uscire a cambiarsi nel pullman anziché in spogliatoio, la paura vera. Il capitano biancoscudato era Diego Bonavina, che assieme al medico sociale Augusto Brusomini, si trovò di fronte a Raffaele Auriemma, giovane presidente del Giorgione e figlio del patron rossostellato Mario. Ci fu un acceso «scambio» verbale tra i due e Auriemma, ad un certo punto, aprì la giacca accarezzando la pistola (vera? Un giocattolo?) che aveva con sè. «Questa è casa mia e qui comando io». Allo sbigottimento di Bonavina, seguirono le vie di fatto.
L’ex capitano biancoscudato fu l’unico ad agire concretamente, denunciando il fatto e facendo scattare deferimento e processo sportivo, con conseguente squalifica e radiazione dell’allora proprietà castellana. Al procedimento della giustizia sportiva seguì quello della giustizia ordinaria, con la condanna di Raffaele Auriemma a due mesi trasformata poi in una sanzione pecuniaria. «Rifarei quella denuncia non una, non cento, ma mille volte – evidenzia a distanza di 14 anni e mezzo Bonavina, che dal 1984 al 1992 giocò proprio nel Giorgione – anche se ancora adesso mi rimane l’amaro in bocca. Non tanto, o meglio, non solo per quel brutto episodio, quanto piuttosto per quello che accadde dopo. All’inizio tutti in spogliatoio sembravano essere dalla mia parte, poi dopo la partita ci furono tanti “non ricordo”, “ma io non ho visto nulla”… Una delusione enorme, perché fui lasciato solo di fronte a qualcosa che in quel momento pareva più grande di me».
«Ringrazio il dottor Brusomini, che non si tirò indietro e rimase al mio fianco. Io credo che, prima di essere calciatori, nella vita sia necessario essere uomini e non tirarsi indietro di fronte alle responsabilità: andai fino in fondo e la soddisfazione è stata quella di vedere quella gente sparire dal mondo del calcio e condannata in via definitiva. Anche se poi ci fu il dolore nel vedere il Giorgione sparire dal calcio professionistico poco più in là». Bonavina non dimentica: «Fu l’episodio più grave di tutta la mia carriera – ricorda – e per me fu uno autentico choc. Sopportai in prima persona l’omertà che esiste ancor oggi nel mondo del calcio e, fra l’altro, in uno dei momenti più bassi di tutta la storia del Padova, quel pomeriggio fu l’inizio di una discesa agli inferi che sembrava non finire più. Non è che lo spogliatoio fosse spaccato nel vero senso della parola, ma da quel giorno niente fu più come prima». Si torna ai giorni nostri. Bonavina oggi fa il legale dell’Assocalciatori, gira a testa alta, ha qualche capello bianco e domenica c’è ancora Giorgione-Padova. Campionato di serie D, dopo un altro crack, stavolta quello biancoscudato. Per lasciarsi alle spalle definitivamente un passato buio, che più buio non si può, prima della rinascita, serve un giretto in purgatorio.
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Dici Giorgione-Padova e pensi ad un pomeriggio di follia di 12 anni fa, all’ammoniaca negli spogliatoi biancoscudati, alla squadra costretta a cambiarsi sul pullman, a un giovane presidente che intimorire i giocatori di Beruatto. Tutte immagini che ci restituiscono le cronache di allora, di una gara sentita e attesa che si concluse in quella che fu ribattezzata “la domenica delle pistole”. Padova e Giorgione si ritrovano, domenica prossima sul luogo del delitto. Ed è un peccato che il primo ricordo porti a quel pomeriggio del 2000, più che alla storia di una squadra cui il Veneto riconosce il giusto spazio. La stella a sei punte. Questo è il Giorgione, la formazione rossostellata nata nel lontano 1911 a Castelfranco Veneto. «Una società importante, che tra Giuseppe Ostani, Raul Pietribiasi e Gaetano Colonna ha avuto presidenti di grande prestigio», racconta Gianfranco Bellotto, l’allenatore padovano che a Castelfranco ha militato agli albori della carriera, prima da giocatore e poi da allenatore. «Una bellissima esperienza, quella col Giorgione», ricorda, «In Veneto è sempre stata una delle squadre più titolate, nonostante fosse una formazione dilettantistica ha sempre portato con sé un nome importante e una buona tifoseria. Ricordo la prima volta che andai a fare un provino: allora giocavo al Campetra, mi presero. E dopo solo un anno, quando io ne avevo 16, mi fecero esordire in quarta serie».
Nella sua storia il Giorgione ha toccato più volte il calcio d’elite: ha calcato la serie C/2 per dodici stagioni tra gli anni Ottanta e Novanta, arrivando ad un passo dalla C/1 nel 1997, eliminato ai playoff dal Livorno. «Per me è stato un punto di partenza, da giocatore e da allenatore. Quella col Padova sarà una bella partita tra due squadre con un nome importante». Già, il Padova. Nel 2000 le due squadre erano in C/2, s’incontrarono per la prima e unica volta nella loro storia. E come andò a finire, è storia pure quella. La domenica delle pistole. Tredici febbraio 2000, il Padova di Beruatto sbarca a Castelfranco. Arrivata allo stadio, la squadra trova lo spogliatoio cosparso di ammoniaca: impossibile respirare, il Padova decide di cambiarsi sul pullman. E quando il capitano di allora, Diego Bonavina, fa le sue rimostranze al giovane Raffaele Auriemma, figlio del presidente castellano, questi apre la giacca facendo intravedere il calcio di una pistola. Sul campo il Padova vince 2-0 coi gol di Ticli e Sanna, ma a fine gara la squadra decide di non metter nemmeno piede in spogliatoio, torna a casa in pullman con la divisa ancora addosso e la partita termina nei tribunali: la testimonianza di Bonavina e del medico sociale, Augusto Brusomini, portano alla condanna a due mesi di reclusione per Auriemma.
«A distanza di 12 anni conservo in me un rospo che ancora adesso è duro da tirar fuori», ricorda Bonavina, «perché a quella pagina amara del calcio è legato il nostro fallimento sportivo. Arrivammo a Giorgione vicini ai playoff, ma il giocattolino si ruppe. Compagni e allenatore mi lasciarono da solo, persino quelli che in quei frangenti erano di fianco a me si tirarono indietro: fui l’unico a testimoniare in tribunale, e se non fosse stato per Brusomini chissà cosa sarebbe successo. Mi arrabbiai con Beruatto e con i compagni, e lo spogliatoio si sfasciò, portandoci a non raggiungere nemmeno i playoff. La pistola di Auriemma non riuscì a farci perdere quella partita, ma ebbe l’effetto di rovinare il nostro campionato». La rinascita. Nel giro di pochi mesi la gestione Auriemma fallì e il Giorgione ripartì dalla terza categoria con Egidio Fior e i fratelli Tiziano e Orfeo Antonello al timone. Quest’ultimo oggi ne è il presidente ed è pronto a ritrovare il Padova: «Noi siamo una società nuova e abbiamo dato un taglio al passato», annuncia il patron rossostellato. «Accogliere di nuovo il Padova sarà un bello stimolo e spero che la partita di domenica guardi avanti, allo spirito agonistico del calcio e dello sport, e non vada a rispolverare vecchie ruggini».